È tornata The OA con la sua Part II, il proseguimento delle avventure weird ideate da Brit Marling e Zal Batmanglij per Netflix. Dopo un esordio televisivo fuori dal comune, la seconda stagione si conferma ancora più assurda e, incredibilmente, persino più bella. Come nella parte I, c’è il gusto per i cliffhanger e le svolte sorprendenti, ma la scrittura seriale degli autori in questi due anni è maturata. Gli episodi si susseguono con più equilibrio rispetto a quelli della stagione 1, ancora troppo legata all’idea di “film espanso”. Rimangono il surrealismo, la fantascienza weird, il misticismo, ma soprattutto l’uso spericolato di regole e strutture narrative tradizionali.

Seguiranno SPOILER per The OA – Stagione 2: recensione

The OA stagione 2

Andamento degli episodi – The OA – Stagione 2: recensione

C’è una corrispondenza tra la struttura della stagione e il multiverso in cui è ambientata. I singoli episodi si sfiorano e dialogano tra loro da dimensioni diverse, ma tangenti. Gli snodi narrativi principali sono portali, attraverso i quali i personaggi possono entrare in contatto. Sono ancora divisi in gruppi, cluster come quelli di Sense8, serie con cui The OA ha in comune anche un’apertura queer maggiore rispetto alla media televisiva.

La parte I di The OA era un grande racconto di storie nelle storie. L’espediente, per quanto pregevole, schiacciava una delle due vicende (quella dei teenager e della professoressa) sotto al peso dell’altro racconto, la potente storia fantascientifica del rapimento di Prairie. Il presente narrativo non riusciva ad andare oltre a un racconto cornice particolarmente sviluppato. Nella seconda stagione, l’intreccio delle sottotrame diventa più armonico, amalgamando meglio le diverse vicende. C’è ancora una prevalenza del cammino di OA sul resto, ma le differenze di tono sono sfruttate al meglio per diversificare tra loro i singoli episodi, e non si creano delle vere e proprie fratture tra un pezzo e l’altro della narrazione.

The OA stagione 2

La stagione 2 si prende lo spazio per indagare meglio quel gruppo di adolescenti che si era raccolto attorno alla protagonista, dedicando loro due interi episodi (Chapter 3 – Magic Mirror e Chapter 6 – Mirror Mirror). Sono quelli più realistici, con meno concessioni al surrealismo che permea tutto il resto, e per questo sono anche i punti più tetri del racconto. Mirror Mirror è uno dei più commoventi dell’intero show, in cui il punto di vista sul gruppo di teenager diventa autoconsapevole delle circostanze in cui ha calato i suoi personaggi. L’episodio riflette sulle conseguenze del loro incontro con OA, che sono in larga parte dolorose: gli estranei percepiscono questa costellazione umana come un gruppo di fanatici irretiti da una santona. Quando li vediamo compiere i 5 movimenti, è inevitabile pensare che ci sia un fondo di verità – anche se sappiamo che i ragazzi hanno ragione, è facile capire perché il mondo attorno a loro non possa accettare la loro fede; e la disperazione che li ha investiti è un fatto concreto.

Nella parte 2, tutto si fa ancora più laterale e sincronico: il multiverso è un meccanismo infinito, in cui coesistono i personaggi e i loro innumerevoli alter ego. Sono tutti collegati tra loro, mentre le loro storie avanzano contemporaneamente. Questo si può dire sia del concept dello show (cosa racconta), sia del suo sviluppo narrativo (come è scritto). Così si creano nuove storie, nuovi personaggi, nuovi cluster, come dimostrato dal finale di stagione, Chapter 8: Overview, dal gusto post-moderno leggermente rétro, ma anche dal suo inizio, affidato a un personaggio nuovo, Karim.

The OA stagione 2

Chapter 1 – Angel of Death rende subito visibile l’abituale stile art house fantascientifico dello show. Dopo un raccordo con la stagione 1, inizia una vicenda hard boiled da romanzo cyberpunk, con adolescenti hikikomori e puzzle game digitali che sconfinano nel reale (e poi nel mistico, essendo The OA). La metà della stagione è caratterizzata da picchi di grottesco che rielaborano l’effetto sconvolgente dei movimenti nella stagione 1, con espedienti simili nello spirito, ma costituiti da immagini diverse. Il polipo Old Night alla fine del Chapter 4 – SYZYGY e i cubetti al termine del Chapter 5 – The Medium & the Engineer hanno lo stesso impatto sconvolgente della rivelazione dei 5 movimenti.

Proprio quest’ultimo episodio segna il picco di surrealismo nell’intera serie, con un viaggio attraverso una casa iperspaziale, a cui fa da contrappunto un’importante riflessione sull’amore tossico. Questo tema è rappresentato dall’eterno antagonista Hap, che si ostina a voler possedere le persone che ama, prevaricandole nei modi più violenti. Curiosamente, in questa stagione Homer, oggetto dell’amore di OA, viene trasformato anch’egli in antagonista – addirittura l’aiutante di Hap – e caratterizzato come “maschio sgradevole”. L’arco di Homer/Dr Roberts è quello di emanciparsi da Hap e dai propri egoismi, aprendosi alle istanze di chi lo circonda, per lui assurde.

The OA stagione 2

La logica sovvertita in The OA – Stagione 2: recensione

Questa stagione di The OA parla di rompicapi da risolvere aggirando la logica convenzionale (come dice la stessa Prairie: “Non sono pazza, ma penso che la logica sia sopravvalutata”). Sono necessari intuizioni, mente aperta e la capacità di affidarsi all’onirico come risorsa. È quello che fanno tutti i personaggi, buoni e cattivi che siano, a partire dal misterioso miliardario della Silicon Valley Pierre Ruskin, passando per lo scienziato pazzo Hap e il suo doppio Dr Percy, fino a OA, qui costretta ad ammettere di aver usato involontariamente gli stessi metodi di Hap. La purezza rimane confinata nell’altro universo, ai personaggi adolescenti che cercano disperatamente OA; ma persino loro sono destinati alla perdita dell’innocenza.

Essendo la stagione basata su immagini oniriche (come dice la stessa Marling), a creare i collegamenti di senso sono spesso immagini o sequenze di fortissimo impatto, visuale e concettuale: il negozio di corpi, il contatto tra OA e il polipo, il dialogo col network degli alberi, l’apertura delle scatoline, OA nella teca nel bosco, la vista dal rosone sul set… Su tutte, trionfa un’idea particolarmente forte: a compiere i movimenti che sono una formula magica intradimensionale (come quelli di Suspiria) questa volta sono dei robot, prima portatili, poi giganteschi, antropomorfi e xenomorfi al tempo stesso. Un’intuizione che fa impallidire l’intera antologia di Love, Death & Robots, che purtroppo non ha neanche uno spiraglio della stessa capacità immaginativa.

The OA stagione 2

Infondendo vita al prestige drama – The OA – Stagione 2: recensione

Nonostante una scrittura più forte sul versante della serializzazione,
The OA Part II è ancora legata all’idea di “film espanso” – solo che si espande davvero in ogni direzione e dimensione. The OA ha tutte le caratteristiche del “prestige drama”: è una serie concepita come un film di molte ore, con prevalenza della trama orizzontale, i cui episodi sono abbastanza lunghi, con una regia realizzata quasi sempre da una singola figura “autoriale”, in questo caso Zal Batmanglij. Nonostante l’aria stantia che aleggia sul prestige drama odierno, The OA non risente della sua appartenenza al genere, dimostrando come i giusti contenuti e un approccio non scolastico alla materia possano ancora dare risultati sorprendenti.

The OA rinnova il prestige drama, o forse mette la pietra tombale sul genere come l’abbiamo conosciuto fin qua. Lo fa attraverso la sua estetica poco mainstream, da film del Sundance, determinata dalle ossessioni e dai talenti dei suoi autori, e con il suo uso della fantascienza e del weird. Se il sentimento del weird è connotato dalla sensazione che una certa cosa “non dovrebbe essere lì”, i 5 movimenti (e le altre immagini forti di The OA) sono la quintessenza del weird; sono assurdi, caricaturali, hanno una carica emozionale che lascia i personaggi nudi, alla mercé del ridicolo, dello sberleffo da parte di chi guarda.

The OA stagione 2

The OA è stata ed è tutt’ora continuamente tacciata di ridicolo dai suoi detrattori. Ma la serie è pienamente consapevole di quello che mette in scena, come delle accuse che riceverà, e non se ne preoccupa, anzi, ci va incontro. Questa è una delle sue grandi qualità. Dopo anni e anni di cinismi ironici e post-ironici, The OA ha la sfrontatezza di proporsi con innocenza e convinzione totali, vulnerabile e temibile come la sua protagonista e i suoi amici. È ovvio che provochi reazioni viscerali, tra cui quella del disgusto, del rifiuto, della ridicolizzazione; ma è confortante vedere quante persone siano invece raggiunte al cuore dai suoi contenuti – più di quante il pessimismo permetterebbe di credere.

Sara M.
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