Il primo episodio dei film dedicati a Black Panther, dopo la sua folgorante introduzione nell’MCU in Civil War (2016), è spesso indicato – e a ragione – come uno dei film migliori del franchise. Il suo ricchissimo immaginario ispirato alla tradizione afrofuturista così come i suoi personaggi iconici, regali e letali, dalle guerriere Dora Milaje, alla regina Ramonda (Angela Bassett), alla sorellina genio della tecnologia e della scienza Shuri (Laetitia Wright), per finire con la coppia centrale principe-supereroe T’Challa (Chadwick Boseman) e cattivo con molte buone ragioni Killmonger (Michael B. Jordan), rimangono tutt’ora una delle vette di questo gigantesco universo di cui ormai abbiamo perso il conto dei rami. Un mondo, quello di Wakanda, nero, panafricano e sorretto dalle sue fondamenta da donne potentissime (alle quali ho dedicato l’intera recensione del film, nell’ormai lontano 2018).

Black Panther: Wakanda Forever

Riuscire nell’impossibile
Black Panther: Wakanda Forever, tributo a Boseman

Sarebbe stato già difficile tentare di pareggiare con un secondo episodio, prima che succedesse l’inimmaginabile, ovvero la perdita del suo protagonista, colui che il mondo intero identificava non solo con il personaggio di Black Panther ma anche con i valori che questo ramo dell’MCU porta con sé, Chadwick Boseman, morto a soli 43 anni nel 2020 dopo una malattia vissuta in silenzio e mai rivelata alla stampa.
Come si può raccontare un mondo quando il suo perno portante scompare? Come si può tornare a viaggiare con la fantasia, riportando troupe e cast intorno su un progetto quando si è stati colpiti nella vita reale da una perdita così devastante? Come tentare di ripetere quell’utopia piena di speranza in un futuro migliore e diverso quando la realtà è stata così implacabile?

Ryan Coogler ha dichiarato in molte occasioni che ha più volte pensato di lasciar perdere, e addirittura di aver voluto abbandonare il cinema dopo la perdita di Boseman.
E, infatti, il progetto ha subito lunghi rallentamenti e molteplici riscritture finché non ha convinto tutti. E così Coogler, il cast e tutti noi siamo tornati a Wakanda.

L’universo Marvel non è certo estraneo al tema del lutto (con buona pace di chi crede che i film di supereroi siano solo esplosioni), anzi, in un mondo in cui metà della popolazione è scomparsa nel nulla per 5 anni dopo lo schiocco di Thanos, il lutto è parte integrante di quasi tutte le storie della fase tre e quattro dell’universo (tra tutte, vale la pena ricordare quel piccolo gioiello che è la serie WandaVision).

Ma Wakanda Forever riesce nell’impossibile: mette in scena, in maniera coerente con il genere e con il mondo narrativo di Wakanda, un lutto reale. Che è quello dei personaggi e al contempo quello delle persone. E lo fa mentre traghetta questo mondo e i suoi personaggi verso il futuro, un futuro da ripensare perché non sarà quello che tutti si erano immaginati, con Black Panther al centro: Shuri, ora erede al trono, cresciuta ma devastata dalla perdita del fratello che non è riuscita a salvare con i suoi marchingegni e le sue invenzioni; la regina madre, che tenta di proteggere Wakanda dai “colonizzatori” che non vendono l’ora di mettere le mani sul vibranio e sulla sua tecnologia avanzatissima (nuovamente con grande soddisfazione i pochissimi personaggi bianchi e americani del film sono tutti terribili); Nakia, ispiratrice dell’apertura di Wakanda al mondo decretata da T’Challa alla fine del primo film, ora ritirata ad Haiti lontano da tutte e incerta se ricongiungersi o meno negli affari del regno…

Se il rapporto tra le personagge e le loro visioni di Wakanda e dei propri percorsi di vita, da ripensare dopo la gigantesca perdita T’Challa, viene affrontato a livello narrativo in maniera particolarmente efficace, grazie anche a una serie di interpretazioni magistrali delle attrici protagoniste, è il nuovo conflitto con il regno subacqueo di Talokan a risultare un po’ traballante, forse perché nonostante tutto non trova abbastanza spazio per essere esplorato in maniera soddisfacente. (Nota a margine: anche la Marvel è stata raggiunta dalla piaga di questi ultimi anni, ovvero una fotografia ai limiti del visibile per il regno subacqueo di Talokan. Vi prego, qualcuno riaccenda la luce).

Black Panther: Wakanda Forever

Poteva succedere solo a Wakanda
Black Panther: Wakanda Forever, tributo a Boseman

In maniera encomiabile, Wakanda Forever non solo continua ad affrontare in chiave fantastica i temi del colonialismo e post-colonialismo, ma prova anche ad aprirne l’orizzonte, includendo un’altra parte di mondo, quello del Sud America, attraverso un regno di creature fantastiche lontanamente ispirato ai Maya. Lo fa, per altro, regalandoci un altro grandioso e magnetico cattivo, Namor (Tenoch Huerta), un cattivo che – come Killmonger prima di lui – ha delle ottime ragioni per odiare colonizzatori e presunti tali. Ma sul conflitto tra le ragioni di Namor e le ragioni di Wakanda, entrambi regni potentissimi in cui la colonizzazione non è mai avvenuta, anche grazie al loro restarsene lungamente nascosti, il film non convince fino in fondo e risolve il conflitto in maniera un po’ affrettata.

Nonostante questo secondo episodio wakandiano non sia assolutamente all’altezza del primo, non si può che ammirare la tenacia con cui Coogler, gli autori e l’intero cast sono riusciti a realizzare questo tributo di grande dolcezza a Boseman e al suo T’Challa.

Un film Marvel che parla con compostezza, tristezza, delicatezza, accettazione e persino speranza di un gigantesco lutto e di chi vi sopravvive. Poteva succedere solo a Wakanda.

Lucia T.Davide V.
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