Il rilancio di un universo narrativo come questo non era un affare semplice. Blade Runner 2049 affronta una sfida durissima, confrontandosi con un testo sacro della fantascienza che è stato capace di raggiungere anche il pubblico generalista. Denis Villeneuve è il regista più adatto; già con Arrival ha mostrato il suo approccio alla materia: carico di immagini fortissime anche quando create con pochi elementi, consapevole dei temi più complessi e profondi che la fantascienza vuole esplorare.

blade runner 2049

Il personaggio interpretato da Ryan Gosling in Blade Runner 2049 si chiama K. Il suo nome potrebbe provenire proprio da quel Philip K. Dick sulla cui opera letteraria sono basati i due film. Non sarebbe una sorpresa, visto che nella fantascienza di Villeneuve è chiara la ricerca letteraria prima ancora di quella cinematografica. K è un personaggio tipicamente dickiano, più del Deckard di Ridley Scott: come tutti i protagonisti di Dick, K deve mettere in discussione il proprio ruolo; è intrappolato in una posizione impossibile tra autorità e rivolta; è destinato a interrogarsi sulla propria natura e su quella della realtà in cui vive.

Villeneuve prende gli elementi del primo capitolo e li elabora secondo un’interpretazione personale. Le citazioni vanno oltre la strizzata d’occhio, rendendo Blade Runner 2049 un film che dialoga seriamente col suo predecessore. Remixa gli archetipi che abbiamo già incontrato, con personaggi che ricordano quelli del primo film ma che funzionano in modo differente, spostando l’angolazione da cui li guardiamo. Si rifà all’ambientazione originale, riprendendo i grattacieli mostruosi e la pioggia battente della città neo-noir, espandendo il panorama a deserti polverosi diametralmente opposti e inventando nuove soluzioni per mostrare la tetra monumentalità da piramide futuribile della megacorporazione di turno.

Quello che commuove davvero è trovarsi di fronte a un film cyberpunk come questo nel 2017. C’è il capitalismo che crea megalopoli e rende tutti schiavi, trasformando le campagne in discariche e ingombrando le strade con quelle pubblicità incombenti già descritte da Scott nel 1982. Sono ologrammi sempre più grandi, che schiacciano al suolo l’uomo come l’androide. Tutti sono consumatori, replicanti inclusi, anche in questo indistinguibili dagli umani “veri”.

blade runner 2049

Il cuore del racconto è qui, nel pregiudizio che vorrebbe certi individui “reali” perché nati dalla carne. Più conosciamo i replicanti, meno sappiamo dire perché questi ultimi siano considerati diversi dagli umani. Villeneuve pensa ai post-umani chiedendosi se gli androidi sognino mogli elettriche. Costruisce un arco di empowerment dolorosissimo mettendo a confronto personaggi post-umani alle prese con una condizione di schiavitù.

Blade Runner 2049 sarebbe perfetto se non avesse qualche problema. Da un lato ci sono alcuni meccanismi di trama non bene oliati, dall’altro la scelta incomprensibile di rappresentare quasi esclusivamente personaggi bianchi. Se superasse questi difetti, Villeneuve sarebbe il migliore autore di fantascienza cinematografica di oggi. Perché quel genere vive al meglio quando mette la natura umana in prospettiva, chiedendoci di aprire la mente e immaginarci diversi, in altri mondi, con altri corpi, nuove lingue, nuove biologie, e, soprattutto, nuovi modi di pensare. Un approccio che nel cinema di Villeneuve c’è già e deve solo mettersi completamente a fuoco.

Per chi volesse colmare il gap narrativo tra il 2019 del primo Blade Runner e questo film, ci sono tre cortometraggi ufficiali che coprono in pochi minuti i 30 anni trascorsi nella narrazione.

Sara M.Davide V.
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