I socioletti adolescenziali sono elementi essenziali nella costruzione delle opere teen più riuscite (pensiamo, like, a Clueless), ma mai come in Buffy il linguaggio assume un ruolo fondante e performativo. Premessa: il post si riferisce alla versione originale, dati gli effetti deleteri del processo di adattamento e di doppiaggio italiano, su cui gravavano una pesante censura e una generale incapacità di cogliere la genialità dei dialoghi.

Le doti soprannaturali di Buffy non si limitano all’ambito fisico, ma si manifestano anche a livello linguistico, con un’ironia e una capacità di creazione verbale da spingere gli studiosi a coniare i termini Slayer slang, Buffyspeak e Buffytalk. Come si suol dire, ne uccide più la lingua che la spada, o meglio il fedele paletto Mr. Pointy: basti pensare alla battuta “I’m Buffy, you’re history”, che annienta anche verbalmente il vampiro di turno. Buffy utilizza il linguaggio come arma: “Are we gonna fight? Or is there just gonna be a monster sarcasm rally?. Lo slang le serve però anche per affrontare l’angosciante processo di costruzione della propria identità, questione centrale per tutti i personaggi, ma ancor più sofferta per lei, perennemente divisa fra gli obblighi da Cacciatrice e il desiderio di normalità e appartenenza a una comunità.

I continui riferimenti pop costituiscono dunque un’attestato di “competenza teen”, un tentativo di ribadire l’esistenza di un paradigma condiviso, di un legame con il mondo teen “normale” che Buffy cita spesso con rimpianto, arrivando a equiparare la propria idea di relax post-combattimento a una maratona di tipici teen movie (“I’m thinking pineapple pizza and teen video movie fest. Possibly something from the Ringwald oeuvre.”).

Il Buffyspeak tuttavia non si limita all’ipercitazionismo e all’uso costante dell’ironia: Buffy e i membri della Scooby Gang imbastiscono un intero sistema di neologismi, basato sulle storpiature linguistiche tipicamente utilizzate dai giovani, ma anche con caratteristiche proprie. Ricorrono per esempio prefissi come “über-,” per intensificare un concetto (übervamp, überwitch), oppure “un-”, per esprimere una negazione (uncomputered, unbad, unrelationship); o ancora suffissi sostantivanti come l’onnipresente “–age” (breakage, drinkage, kissage, punnage, stakage e persino Christian Baleage), come evidenza il saggio Slayer Slang.

A livello linguistico l’identità collettiva adolescenziale viene ribadita anche attraverso il contrasto con il modo di esprimersi degli adulti, rappresentazione letterale dell’incomunicabilità intergenerazionale in quanto tendenzialmente privo di creatività, ironia e riferimenti culturali. L’unica presenza adulta costante, Giles, si pone su un piano linguistico doppiamente altro: il suo inglese tanto British quanto bookish definisce la sua posizione intermedia fra i due mondi, ma offre anche momenti di ilarità che rendono la dimensione linguistica delle serie ancora più unica:

B.: We don’t say “Indian.”
G.: Oh, oh, right! Yes, yes. Um, always behind on the terms. Still trying not to refer to you lot as “bloody colonials.”