A due anni dal non esaltante The Amazing Spider-Man, la Sony rilancia la saga del tessiragnatele Marvel con The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro, affidandosi ancora al team artistico composto da Marc Webb (regista) e Andrew Garfield e Emma Stone (protagonisti). Anche in questo caso, il film non è fedele alla storia di Spider-Man di Terra 616, e chiunque fosse rimasto deluso dalla precedente versione del personaggio diretta da Sam Raimi per le licenze che si prendeva, anche qui rischia di uscire dal cinema con l’amaro in bocca. E non solo per la mancanza di interesse filologico verso l’universo ragnesco in favore di un più generico e qualunquista appeal young adult, quanto per la totale mediocrità cinematografica dell’insieme, sia sul piano dello script che su quello della regia.

Webb e il suo team di sceneggiatori, guidato da Alex Kurtzman, ci propongono un Peter Parker poco nerd, ma comunque simpatico nella sua stravaganza – a cui Andrew Garfield presta il volto comune e l’aria da ragazzo della porta accanto – che, malgrado l’impegno, non riesce a conciliare l’essere Spider-Man, e tutte le responsabilità derivanti da un simile potere, con l’amore verso Gwen Stacy – colta alla perfezione nelle sue sfumature di ragazza intelligente e sensibile, prima ancora che carina, da una sempre più lanciata Emma Stone – che aveva promesso di lasciare fuori dai guai al padre morente. Sembrano buone premesse, peccato che gli sviluppi non siano all’altezza, e che gli unici momenti riusciti del film siano proprio i confronti fra i due innamorati, che pur non scavando in profondità, si lasciano seguire piacevolmente grazie alla chimica fra i due interpreti.

Tutto intorno, una vicenda sconclusionata con al centro la Oscorp (l’ennesima corporation malvagia che usa la scienza per scopi abietti), ma nella quale tutto sembra ricondursi a Spider-Man in maniera programmatica, con la trama che si riempie di sottostorie narrate in modo poco interessante (come quella inerente i genitori di Peter) oppure appena abbozzate (con la zia May, una svogliatissima Sally Field, ridotta a comparsa), e una rogue gallery di psicopatici fra le meno riuscite di sempre, da fare rimpiangere il già scarso Lizard del primo capitolo. Su quest’ultimo punto, è dura stabilire se sia più fallimentare l’Electro lagnoso e bipolare di Jamie Foxx, poco a suo agio in una prova di maniera, o il giovane Goblin di Dane DeHaan, che sembra recitare lo stesso ruolo antipatico visto in Giovani ribelli; per non parlare di un agonizzante Norman Osborn padre (Chris Cooper) e di un Rhino completamente grottesco (Paul Giamatti nella scelta di casting più WTF della storia dei cinecomics), che appaiono sullo schermo per pochi minuti, ma lasciano il segno in negativo per come sprecano i rispettivi interpreti. Gli stessi spunti di comicità verbale che il personaggio di Spider-Man per sua natura offre risultano poco sfruttati, e nel caos generale si fatica a ricordare gag degne di nota.

Non che sul piano registico il film sia più riuscito: a parte le solite riprese acrobatiche in soggettiva che ci si aspettano (al solito ineccepibili), Webb accentua il lato spettacolare della vicenda snocciolando sequenze d’azione esagerate (a partire dall’orribile prologo sull’aereo, in cui ci si fa beffe della fisica pur in assenza di superpoteri), con effetti visivi che copiano spudoratamente altri film (la genesi di Electro ricorda troppo quella del Dottor Manhattan nello Watchmen di Zack Snyder), o che comunque non vanno oltre la tamarrata (l’inguardabile Rhino in esoscheletro e mitragliatrici sembra uscito da un film di Michael Bay), per poi farsi harakiri in una battaglia finale, come ormai da tempo è prassi nei cinecomics Marvel, particolarmente brutta e confusa, in cui oltretutto si cede alla tentazione di copiare forzatamente il fumetto, salvo essersene tenuti lontani prima di quel momento e pur in un contesto profondamente diverso. Non ci viene risparmiata nemmeno la strizzata d’occhio al pubblico infantile (con un bambino che aiuta il protagonista come nel pessimo Iron Man 3) in questo cinecomic scontato, baracconesco e del tutto privo di personalità, forse la peggiore uscita sullo schermo del qui ben poco stupefacente Uomo Ragno; che però non rinuncia al cameo di Stan Lee (come al solito simpatico) e alle post credits scenes (delle quali la seconda non c’entra nulla col film), giusto a farci ricordare che, con un brand ormai collaudato, basta rassicurare gli spettatori e il successo arriverà comunque.

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