I segreti di Silente, terzo capitolo della saga di Animali fantastici, raggiunge finalmente il pubblico dopo lunghi ritardi dovuti alla pandemia, ma anche allo scarso successo del precedente I crimini di Grindelwald, penalizzato da una sceneggiatura sbilanciata, colma di spiegoni e soprattutto incongruenze e retcon (continuità retroattive) mal tollerate dai fan. Non è un caso, dunque, che la produzione abbia richiamato Steve Kloves, storico sceneggiatore potteriano, perché rimaneggiasse il nuovo copione insieme a J.K. Rowling.

I segreti di Silente

Tuttavia valutare l’esito dell’impresa è tutt’altro che semplice: I segreti di Silente è uno di quei film recensibili soltanto con una valutazione scissa, come e più del predecessore. A livello narrativo, il terzo capitolo ha indubbiamente messo qualche pezza agli scivoloni del secondo; occorre però sottolineare che la prima metà del film è un inutile giro in tondo (come ammettono gli stessi personaggi!), che i segreti di Silente del titolo sono sostanzialmente tutte cose che i fan del Wizarding World già conoscevano e che il capitolo si concentra più sul risolvere i buchi di trama del precedente che sull’evitare i propri.

Il secondo film si chiudeva con la preparazione dell’ascesa di Grindelwald, in pieno delirio di onnipotenza, con Queenie (Alison Sudol) e Credence (Ezra Miller) passati al lato oscuro (quest’ultimo in virtù del fatto che Grindelwald stesso gli aveva rivelato la sua vera identità: Aurelius Silente, fratello di Albus e Aberforth (Richard Coyle). Il terzo capitolo rattoppa un po’ il twist, dando però adito a tutta una serie di domande senza risposta, e soprattutto la parabola di Creedence, costruito inizialmente come un personaggio stratosferico, si rivela un clamoroso anticlimax con un finale al momento aperto (destando il sospetto che il vero Obscuriale sia Miller stesso, particolarmente prodigo di scandali).

I segreti di Silente

I segreti di Silente si apre con una splendida scena che introduce appunto il segreto di Pulcinella dell’attrazione tra Albus e Grindelwald: dopo infinite allusioni, i due parlano apertamente dei loro sentimenti e del patto di sangue che impedisce loro di attaccarsi a vicenda (la fiala che Newt aveva trafugato nel film precedente, che ricorda in parte il funzionamento degli horcrux). Jude Law in stato di grazia è un match perfetto per il nuovo volto di Grindelwald, un Mads Mikkelsen molto più in linea con il personaggio che vuole dominare il mondo ma sa anche attrarre un Silente ancora giovane e composto che difficilmente si sarebbe innamorato dell’istrionico Depp. Peccato che che il dialogo avvenga in una sorta di dimensione parallela che sembra quasi mutuata da Doctor Strange e che ricorre più volte senza che ne venga fornita una spiegazione. Uno dei problemi principali del terzo capitolo è proprio l’assenza di delucidazioni sul perché i personaggi si trovino in un dato luogo, facciano una data cosa o usino strumenti mai più sfruttati nell’universo potteriano (come spiega meticolosamente Caleel nella sua video-recensione)

In Cina, in una delle sequenze più suggestive del film, Newt (Eddie Redmayne) fa nascere un cucciolo di Qilin, animale fantastico introdotto in questo capitolo e subito rapito dagli sgherri di Grindelwald, comandati da Credence, per le sue proprietà divinatorie; i tirapiedi non sanno però che il cucciolo ha un gemello, che si rivelerà fondamentale verso la fine. Da qui inizia un lungo percorso circolare che intrattiene (forte degli effetti speciali da capogiro) ma non fa avanzare la trama. Silente mette insieme “una squadra fortissimi”: Newt e la sua adorabile assistente Bunty (Victoria Yeates), il fratello Theseus Scamander (Callum Turner), il mago franco-senegalese Yusuf Kama (William Nadylam, già noto dal precedente capitolo), l’insegnante di incantesimi di Ilvermorny (la Hogwarts americana) Lally Hicks (Jessica Williams) e… il no-Mag Jacob Kowalski (Dan Fogler). Il piano, in soldoni, è proprio non avere un piano, dato che Grindelwald può vedere stralci del futuro. E così tutti gli oggetti e le istruzioni che i personaggi ricevono, pur generando avventure esteticamente sbalorditive, alla fine riportano tutto al punto di partenza.

I segreti di Silente

Nel frattempo al Ministero della Magia della Germania, in una Berlino geometrica e innevata che è un po’ Metropolis, si radunano i candidati alle elezioni del nuovo capo della Confederazione Internazionale dei Maghi: Vicência Santos (Brasile) e Liu Tao (Cina), a cui si aggiunge poi Grindelwald stesso, grazie al voltafaccia del capo in carica, nonché Ministro della Magia tedesco, Anton Vogel (Oliver Masucci, noto per la serie Dark), che decide di perdonare tutti i crimini di Grindelwald per insufficienza di prove(di fatto obliterando l’intero secondo film). Al netto del conflitto mai sanato tra la data delle elezioni, previste per il 1932, e il fatto che numerosi dettagli indichino che il film si svolge invece nel 1927 o al massimo nel 1928, i nostri eroi affrontano tentati omicidi, rocamboleschi salvataggi da una prigione letale, fughe e duelli vari (tanto efficaci visivamente quanto colmi di incongruenze e inutili per la trama).

La scena si sposta in Bhutan, dove si svolgeranno le elezioni: uno dei pregi della saga è proprio l’ampliamento del mondo magico (senza dimenticare una tappa a Hogwarts, naturalmente), che spazia dalle nevi del castello di Grindelwald e dalla capitale tedesca alla poesia e alla sacralità del Paese sulle vette dell’Himalaya, dove il luogo prescelto si raggiunge tramite un’immensa scalinata in pietra immersa in una paesaggio mozzafiato. Per evitare spoiler, diremo soltanto che l’ultimo atto si conclude in modo da poter chiudere la trilogia se necessario causa penuria di incassi (senza però mostrare il leggendario e attesissimo scontro tra Silente e Grindelwald nel 1945) o da lasciare spazio a un unico capitolo che compatti il quarto e il quinto.

I segreti di Silente

Insomma, un film che indubbiamente intrattiene (specialmente chi non conosce la saga e non patirà la profusione di strafalcioni, retcon e raccordi mai spiegati), ma spreca buona parte del suo potenziale lasciando spazio a eventi che si autoannullano e togliendone invece ai personaggi e ai rapporti che li legano. Newt torna a fare il magizoologo, ma di fatto rimane al massimo comprimario; Aberforth, la cui presenza era d’obbligo, esaurisce il suo minutaggio in un batter d’occhio e un fan service evitabile; Queenie mostra qualche lontano barlume della vecchia se stessa, neanche lontanamente paragonabile alla verve del primo film; Bunty, pur adorabile con la sua cotta adolescenziale e inconfessata per Newt e pur più scaltra di quanto non dia a vedere, alla fine risulta poco più che una pedina. Yusuf Kama porta a termine la sua messinscena senza ingannare nessuno: se non fosse comparso tout court, il film sarebbe risultato identico.

Dispiace invece che non ci sia traccia del Maledictus/Nagini (Claudia Kim), di cui si era innamorato Credence al Circus Arcanus, ma soprattutto una sola scena che comprenda Tina. Il motivo reale è inoppugnabile, poiché l’attrice Katherine Waterstone aveva contratto il Covid; quello addotto diegeticamene, però, ovvero che Tina era troppo impegnata in quanto neo-capo dell’Ufficio degli Auror, risulta assolutamente out-of-character persino per la zelante Goldstein. Molto più sensata l’idea di victorlaszlo88, secondo cui Lally poteva essere Tina sotto gli effetti della Pozione polisucco. La stessa Lally, di per sé simpatica e brillante, sembra convocata senza alcun motivo strategico se non la sua bravura negli incantesimi, ma di fatto finisce per fare la token female character al posto di Tina (e in parte di Queenie) E la token black woman al posto di Leta (che Theseus a quanto pare ha già dimenticato, vista la sorta di legame che crea con Lally).

I segreti di Silente

Jakob è forse l’unico ad avere un arco ben sviluppato, tra l’altro premiato negli ultimi minuti; ma anche qui evitiamo spoiler, segnalando soltanto l’inquadratura di Silente che si allontana nel buio: in parte il contrario del suo arrivo a Privet Drive, che darà inizio alla saga di Harry Potter, ma soprattutto il segno tangibile della condizione di solitudine profonda che lo accompagnerà da quel momento in poi, dopo la cesura insanabile con Grindelwald.

Alice C.
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