Si è giunti all’epilogo della saga young adult distopica tratta dai romanzi di Suzanne Collins con Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II. Più per esigenze commerciali che narrative, l’ultimo capitolo della trilogia è stato gonfiato sullo schermo fino a farne due film, ma non è facile valutare singolarmente le due parti de Il canto della rivolta, fra le quali è evidente lo squilibrio di ritmo dovuto alla loro complementarità: a una prima parte di preparazione, statica e riflessiva, ne segue infatti una seconda prettamente d’azione, piena di fughe e combattimenti.

Ciò premesso, qualcosa di decente si è visto anche qui. Anzitutto, tornano gli Hunger Games, grandi assenti dalla Parte I: l’idea di trasformare l’intera Capitol City in un’arena di combattimento per l’edizione finale dei giochi è più che azzeccata, e alcune trappole assai riuscite (l’inondazione di catrame e l’attacco delle creature sotterranee). La denuncia della manipolazione mediatica della rivoluzione, in cui gli strateghi si servono di figure ispiratrici capaci di spingere il popolo a entrare in guerra, ma sono pronti a sacrificarle per rafforzare il loro valore simbolico, non poteva poi essere più chiara e precisa, confermando la tendenza del film precedente a sviluppare il messaggio politico che nei primi due restava in superficie, ed evitando la netta divisione dei personaggi in buoni e cattivi. Peccato che a una simile nobiltà d’intenti (che rende questa saga comunque superiore alla media del genere), non corrisponda una carica emotiva altrettanto forte: le scene d’azione sono girate in modo piatto, e mancano di vera tensione, e non ci si affeziona più di tanto ai personaggi, anche per via della caratterizzazione poco approfondita dei componenti della squadra (una su tutti, la Cressida impersonata da Natalie Dormer, che non lascia molto a parte l’iconica capigliatura da tekno-raver tornata di moda tra le ragazze).

Lo stesso cast ha alti e bassi: rimane evidente il distacco qualitativo fra i veterani (in cui troneggia l’ottantenne Donald Sutherland, nel ruolo del malvagio presidente Snow) e gli attori giovani (con Josh Hutcherson e Liam Hemsworth che gareggiano a chi è meno espressivo), compresa tutto sommato la stessa Jennifer Lawrence, il cui indubbio talento recitativo, nel ruolo di Katniss Everdeen, in fondo non è ben sfruttato. Avrebbero meritato maggiore spazio i pittoreschi comprimari, anche se Elizabeth Banks e Woody Harrelson, per quel poco che appaiono, regalano un po’ di emozioni nella parte, rispettivamente, di Effie e di Haymitch.

Il colpo di scena nel sottofinale, benché telefonato, è coerente con la trama e ha una certa valenza catartica, mentre a non convincere è, in questo caso, il risvolto sentimentale, con il triangolo fra Katniss, Peeta e Gale che si evolve in maniera programmatica, quasi tradendo l’indipendenza della protagonista in favore di una soluzione più tradizionale e consolatoria che risulta posticcia e accettabile solo da un pubblico adolescenziale. La degna chiusura di una saga accattivante ma, in fondo, sopravvalutata.

Davide V.
5