The Lobster film recensione

The Lobster è il primo film in lingua inglese del regista greco Yorgos Lanthimos. Coproduzione europea che si avvale di un bel cast in cui spiccano Colin Farrell, Rachel Weisz e Léa Seydoux, ha fatto incetta di premi ai festival, conquistando il Premio della Giuria a Cannes.

L’idea alla base è tanto semplice quanto disturbante: il film è ambientato in un mondo dove le persone non possono essere single; se lo diventano, vengono mandate in un albergo dove hanno 45 giorni di tempo per trovare un partner, altrimenti il loro destino sarà segnato in modo irrevocabile. La distopica “dittatura della coppia” ci parla di una società, la nostra, fondata su una rigida idea di famiglia; ma si offre anche come pretesto per parlare di banalità del male e degli abissi oscuri della natura umana.

La villa dove vengono rinchiusi i single funziona come un campo di concentramento, e richiama allo stesso tempo Salò o le 120 giornate di Sodoma; lo spunto della caccia ricorda il romanzo Il richiamo del corno, in cui i nazisti governano il mondo; i cittadini sono minacciati da un totalitarismo che li sprona a trasformarsi in carnefici; c’è un’idea distorta di genetica, e l’applicazione della scienza oltrepassa i limiti della crudeltà. Insomma, il parallelo nazi-fascista è assolutamente esplicito. Coincidenza vuole che The Lobster ricordi l’estetica di Grand Budapest Hotel virata al grigio, ma il suo grottesco parla di bassi istinti e sopravvivenza al Male con una durezza che colpisce lo stomaco.

È un film riuscito, bello e angosciante. I suoi tempi comici alternano battute di spirito a momenti orrifici, ma senza quel preavviso implicito della commedia nera o horror. Lo spettatore viene disorientato e non sa più quando ridere del ridicolo, se avere paura per i personaggi o di loro, o compatirli. The Lobster è pieno di facezie, ma spaventa, e non nel modo rassicurante della fiaba; ci si identifica nei personaggi, ma si teme quello che potranno fare. Lanthimos mette in chiaro come ciascuno pensi sempre prima a se stesso, poi agli altri, persone amate incluse: il mondo non conosce eroi.

La bellezza estetica del film è indiscutibile. Fotografia e location creano un paesaggio livido anche quando scaldato dai toni giallo-verdi del bosco. I costumi rappresentano alla perfezione le idee del film – particolarmente riuscito l’abbigliamento dei single che si danno alla macchia, attrezzati di mantella cerata e zainetto come qualsiasi borghese in gita domenicale. John C. Reilly, Oliva Colman e tanti altri bravi attori recitano le loro battute con un tono impersonale che gela il sangue. La messa in scena di questa distopia grottesca ricorda a tratti Kubrick, che pare il vero punto di riferimento dell’opera di Lanthimos.

The Lobster crea tensione in modo più sottile di quel che sembra: confonde le acque prima di risultare didascalico nella sua allegoria, e mantiene la coerenza tra contenuto e confezione. È senza dubbio uno dei film più interessanti del 2015.

Sara M.Chiara C.Edoardo P.Eugenio D.Giusy P.Sara S.
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