Con Sin City – Una donna per cui uccidere, Frank Miller, a nove anni di distanza dal primo film, riporta sullo schermo il ciclo di graphic novel che lo ha reso un autore di culto, avvalendosi ancora una volta della co-regia di Robert Rodriguez e di quasi lo stesso cast.

È chiaro fin dall’inizio che si tratta di un’operazione fuori tempo massimo. L’accoppiata Miller – Rodriguez non aggiunge niente di nuovo allo stile e alle tematiche del prototipo, che fu un’opera seminale per lo sdoganamento del cinecomic come genere hollywoodiano di punta. Se la fotografia in bianco e nero, con i soliti dettagli a colori, raggiunge una perfezione visiva ineccepibile, anche per i progressi nell’uso del green screen, altrettanto non si può dire dello script e delle caratterizzazioni, che riprendono stancamente cose già viste. Se nel primo film i protagonisti, pur nei loro eccessi grotteschi, assumevano una statura tragica che li rendeva antieroi degni del noir classico, qui sembrano pupazzi senza spessore. A farne le spese, in particolare, è il personaggio di Marv, interpretato da un Mickey Rourke stanco e sempre più coperto dal trucco, e qui trasformato in un bruto senza cervello, usato da tutti. Meno fallimentare, grazie anche alla discreta prova di Josh Brolin (che sostituisce Clive Owen) il trattamento riservato a Dwight, anche se il meccanismo di seduzione che lo lega alla dark lady Ava (Eva Green) risulta troppo studiato, troppo superficiale per essere coinvolgente.

Nonostante l’ossessione della fedeltà al fumetto, che si spinge fino a creare inquadrature che lo citano pedissequamente, ma senza un vero riscontro nella vicenda (superfluo il cameo di Stacy Keach nel ruolo del boss), l’episodio di Dwight, che dà il titolo al film ed è tratto dalla seconda graphic novel della saga, ma per trama e collocazione temporale si sarebbe potuto inserire bene nel primo film, risulta comunque il migliore. Il sequel, infatti, fallisce veramente dove si discosta dalla fonte, dove si è trattato di inventare storie ex novo: piuttosto debole l’episodio di Johnny (Joseph Gordon-Levitt), nonostante la partecipazione del grande Christopher Lloyd, addirittura pessimo quello di Nancy (Jessica Alba), nel quale emergono i limiti recitativi dell’attrice, e la cui resa dei conti si risolve con lo stravisto trucco de La signora di Shangai. Più in generale, nel primo film le vicende erano varie e appassionanti, qui si riconducono tutte al tema della vendetta in maniera meccanica e sbrigativa. Inoltre, a dimostrazione di quanto il concetto di superpoteri sia inflazionato al cinema, quasi tutti i personaggi qui sembrano possederli e ignorare le leggi della fisica, privando ciascuno della peculiarità che li caratterizzava. Un sequel mediocre, di cui tutto sommato non si sentiva la mancanza.

Davide V.Edoardo P.Sara S.
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