Un rovesciamento delle storie di mecha al crocevia tra dramma intimistico e racconto di formazione: questo e molto altro è Neon Genesis Evangelion, la serie cult di Hideaki Anno che ha al suo attivo 26 episodi trasmessi a cavallo tra il 1995 e il 1997, due film e tre remake cinematografici. La storia è nota: in un futuro postapocalittico il quattordicenne Shinji Ikari (insieme alle coetanee Asuka e Rei) si ritrova a pilotare uno dei robot Evangelion, ideati per proteggere l’umanità dagli attacchi degli angeli. L’organizzazione paramilitare Nerv li ha creati a partire dal materiale organico di Adam, primo angelo rinvenuto nell’antartico. La controparte di Adam è Lilith, una gigantesca figura umanoide che la Nerv custodisce nel proprio quartier generale. Se gli angeli sono prole di Adam, è Lilith la ‘grande madre’ capostipite del genere umano.

Neon Genesis Evangelion

Il mondo di Evangelion è dominato da strutture rigidamente patriarcali: la Seele, l’organizzazione alle spalle della Nerv, è costituita esclusivamente da maschi anziani (che si trasformeranno emblematicamente in lapidi parlanti); la Nerv stessa ha ai suoi vertici due gerarchi: Gendo Ikari, il terribile padre di Shinji, e il professor Fuyutsuki. È interessante notare come Gendo costituisca il negativo del buon padre delle storie di mecha che affida il robot al figlio ubbidiente: si pensi a Tetsujin 28-go (1956-66) o a Giant Robo (1967-68). Gendo sembra aver abdicato totalmente al ruolo di padre: è assente e ostile al figlio, che non ha la minima intenzione di compiacerlo.

“Il Giappone ha perso la guerra con gli americani – ha dichiarato Anno nel corso di un’intervista – da quel momento l’educazione che abbiamo ricevuto non è stata in grado di formare degli adulti. Anche per noi quarantenni e per la generazione precedente, non c’è stato un modello ragionevole di come dovrebbe essere un adulto. La teoria secondo cui la sconfitta del Giappone ha privato il paese della sua indipendenza e generato una nazione di eterni bambini, deboli e costretti a vivere sotto la protezione dell’American Big Daddy è ampiamente condivisa da artisti e intellettuali. […] Non vedo alcun adulto qui in Giappone”.

Un paese senza padri, dunque, nel pieno della crisi registrata da Massimo Recalcati (“Cosa resta del padre?”, Raffaello Cortina Editore). In questo scenario gli uomini al comando non possono che essere inadatti. Shinji è incapace di affrontare la vita, terrorizzato dai rapporti umani, sprofondato in una dimensione solipsistica. Si sostituiscono al padre in funzione di guida le donne, come il caposcienziato della Nerv Ritsuko Akagi, il comandante Misato Katsuragi e soprattutto la madre Yui.

Il femminile di Evangelion è squisitamente materno. La serie è ricca di figure materne (come Rei, clone “seriale” della madre di Shinji). Yui si è “dissolta” all’interno dell’unità pilotata da Shinji: il robot è dunque emblema del materno, in lotta contro un maschile distruttivo (gli angeli, discendenti di Adam). Non a caso Shinji vi si introduce in posizione fetale, immergendosi in un liquido simile a quello amniotico, e sperimenta al suo interno una sensazione di pace uterina. Il ritorno al grembo è, in fondo, il piano segreto di Gendo Ikari, che con la sua versione del “progetto per il perfezionamento” aspira a un mondo in cui tutte le coscienze si fondano insieme. Un progetto che fallirà proprio per la ritrovata volontà di Shinji. “Se desideri vivere – gli dice Yui – ogni luogo può essere un paradiso”.

Scritto da Irene Rubino.