Lo ami o lo odi. Bakuman non può lasciare indifferenti. Del resto, Tsugumi Obha e Takeshi Obata ci hanno abituati a opere che chiedono con prepotenza al pubblico di schierarsi. Il loro famigerato Death Note è l’esempio più alto del loro stile narrativo fondato su un’unica regola: sovvertire le regole. Mai si erano visti un manga così “parlato”, una serie di personaggi così ambigui e una storia così priva di giudizio morale. Bakuman prosegue sulla strada rivoluzionaria inaugurata dalla coppia di mangaka con Death Note, e va un passo oltre. La rivoluzione di Bakuman non sta solo nel fatto che i personaggi si muovono in uno spazio grigio e per raggiungere i propri scopi compiono azioni che sono difficili da qualificare in termini di buono/cattivo. Non sta neanche nella supremazia della parola sulle immagini, pur splendidamente ricercate, a cui i due mangaka ci hanno abituato. La vera rottura degli schemi incomincia dalla stessa concezione della storia. Obha e Obata costruiscono una vera e propria meta-narrazione: una storia che racconta come si scrive una storia e, così facendo, riflette sui meccanismi stessi del raccontare. Complicato? Senza dubbio. Siamo di fronte a una scatola cinese che si apre poco a poco, ma sembra nascondere sempre nuovi livelli.

Mashiro e Takagi sono due giovani aspiranti mangaka, che lottano strenuamente per diventare “i più grandi autori di manga di tutti i tempi”. Proprio come Obha e Obata all’inizio della loro carriera, anche i due giovani protagonisti di Bakuman firmano la loro prima opera con uno pseudonimo, Muto Ashirogi, che non a caso contiene gli ideogrammi di “sogno” e “realizzare”. E i riferimenti al mondo reale non si fermano qui. I protagonisti pubblicano le loro opere sul celebre Weekly Shonen Jump della Sueisha, su cui è pubblicato lo stesso Bakuman, si muovono all’interno di una redazione che rispecchia nelle sue dinamiche il funzionamento della vera redazione della rivista. Accanto alle opere inventate dai protagonisti viene fatto riferimento a opere realmente pubblicate sulla rivista della Sueisha, da Naruto a One Piece fino ai Pokemon. E a chiudere il cerchio alcuni dei manga realizzati nell’universo fittizio in cui si muovono i personaggi hanno visto una vera pubblicazione, in forma di romanzo o manga breve, su Shonen Jump, accanto a Bakuman.

Attraverso questo gioco di rimandi e citazioni che affascina lo spettatore appassionato, ma può diventare estenuante e rendere la storia poco comprensibile per chi non è così “dentro” il mondo dei manga, gli autori di Bakuman, aprono il sipario sui retroscena della vita di un mangaka e lo mostrano al pubblico con estremo disincanto. Mostrando, ad esempio, le battaglie che un aspirante mangaka deve combattere per convincere un editore anche solo a prendere in considerazione la sua opera, per entrare nelle grazie dei “i piani alti” che decidono se serializzare o meno un manga, per rispettare le frequenti scadenze imposte dalla casa editrice, giocandosi a volte anche la salute, per ottenere buoni risultati nei sondaggi pubblici, che decidono della sorte di un manga in corso d’opera, infine per mantenere lo status di mangaka di successo, una volta che lo ha raggiunto. Obha e Obata svelano senza remore la logica perversa di un mondo che si regge coltivando il talento dei giovani mangaka, ma al tempo stesso sfruttandone impietosamente la passione e la determinazione.

I protagonisti, del resto, si mostrano consapevoli fin dall’inizio delle regole spietate del mondo in cui mirano a entrare. Quando Takagi propone a Mashiro di unirsi a lui per raggiugere il successo come mangaka, il ragazzo lo ammonisce citando le parole di un famoso mangaka scomparso prematuramente: “mio zio, Kawaguchi Taro, diceva che quando si cerca di diventare mangaka sono necessari superbia, sudore e fortuna. Ma quando si comincia a pubblicare ci vogliono forza fisica, forza mentale e infine forza di volontà, per non arrendersi mai di fronte a niente”.

Bakuman ci descrive il mangaka come un giocatore d’azzardo: ad ogni vittoria segue una nuova sfida ancora più difficile da superare, ma alla prima sconfitta si rischia di perdere tutto. Se vi state chiedendo perché prendersi un simile azzardo, non sraà questa storia a darvi una risposta definitiva. Obha e Obata si “limitano” a mostrarci i protagonisti mentre si gettano anima e corpo nelle mille battaglie che li separano dalla conquista dell’ambito titolo di mangaka. Sospendono il giudizio sulle azioni e le scelte che devono compiere per raggiungere il loro scopo.

Così noi possiamo amarli o odiarli, seguirli o rifiutarli. Ma senza dubbio, chi arriverà alla fine della storia, avrà la certezza che i suoi protagonisti non saprebbero vivere altrimenti che disegnando.

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