Il Future Film Festival 2014 continua a sorprendere gli spettatori alternando i sogni più variopinti ai toni cupi e soffocanti delle distopie urbane di un futuro che riapre ed esacerba le cicatrici del passato e del presente. Fra i due blocchi di Future Film Shorts in 3D e mixed media, il 2 aprile ha lasciato ampio spazio all’animazione orientale con il caposaldo futuristico nipponico Metropolis (Rintaro, 2001) e gli attesi Gatchaman e Ghost in the Shell / Arise, prequel della celebre saga. I tre colossi nipponici sono però stati affiancati da altre scelte interessanti: l’ultimo capitolo della saga del maialino McDull, The Pork of Music di Brian Tse (Hong Kong) e il thriller di denuncia coreano di The Fake di Yeon Sang-ho. A completare il quadro, un excursus nella Costa d’Avorio di fine anni Settanta con Aya de Youpugon di di Marguerite Abouet e Clément Oubrerie.

Giovedì 3 aprile sono stati invece gli spettatori a divenire protagonisti, seguendo due binari paralleli: da un lato, quello della creatività e della cura dei dialoghi nella maratona di sceneggiatura di 12 ore organizzata da Bottega Finzioni, di cui attendiamo i risultati; dall’altro, quello della capacità di sintesi e di promozione nella Masterclass condotta da Davide Romani, responsabile Social Media della Walt Disney Company, che ha illustrato ai presenti la realizzazione della Digital Campaign di Captain America – The Winter Soldier.

Sempre sotto l’egida Disney, gli spettatori del pomeriggio hanno potuto assistere a un altro degli highlight del festival, il documentario tutto nostrano Walt Disney e l’Italia. Una storia d’amore, presentato dall’autore Marco Spagnoli. Il progetto trascende ormai l’obiettivo originario di accompagnare l’uscita nelle sale italiane di Saving Mr. Banks (com’è stato nei cinema del circuito The Space), acquisendo vita propria grazie alla ricchezza del materiale recuperato e delle testimonianze sincere di un numero sempre maggiore di artisti italiani influenzati da Disney. I racconti di Bruno Bozzetto, Enzo D’Alò, Silvia Ziche, Luca Ward, Elio Fiorucci, Lillo e Greg e tanti altri, cuciti insieme dalla narrazione di Serena Autieri e di Vincenzo Mollica (per l’occasione Vincenzo Paperica, perché, come sottolinea Fausto Brizzi, tutti sognano un alter ego papero), si fondono con i filmati recuperati da archivi ancora non catalogati dell’Istituto Luce e della Mediateca RAI, tra cui una bel dialogo disneyano tra Gianni Rodari e il giovane Umberto Eco e una splendida intervista a Federico Fellini, che racconta dei festeggiamenti organizzati nel saloon di Disneyland per l’Oscar a La strada nel 1956 e culminati nel role-play improvvisato da Disney stesso, che imbracciò un fucile finto e costrinse tutti i presenti a buttarsi a terra per l’imminente arrivo degli indiani.

E il motto del grande Walt “Se puoi sognarlo, puoi farlo” rivive indubbiamente ogni primavera nelle sale del Future Film Festival, che trasforma in un calendario quanto mai concreto i sogni e gli incubi degli artisti dell’animazione di tutto il mondo. Il tuffo nella fantasia non è però tutto rose e fiori: se già l’universo botanico un po’ hippy di Tante Hilda (Jacques-Rémy Girerd) deve affrontare la minaccia OGM, è ancora una volta la lente giapponese a sondare gli abissi delle paure collettive di un paese profondamente segnato tanto dalla distruzione umana, quanto dalle catastrofi naturali. Se la quartina di Short Peace si rivela al di sotto delle aspettative (e l’orso bianco è ben lungi dal divenire mascotte ideale del FFF, dopo l’adorabile Mame di A Letter to Momo e i teneri licantropi di Wolf Children), colpisce invece la pregnanza dell’incontro Neo Tokyo Impact: fotogrammi della post apocalissi, organizzato dall’Associazione Culturale NipPop, che propone una ricca selezione di immagini digitali di Hisaharu Motoda (dal titolo “Neo Ruins”) e di sequenze tratte da opere come Akira e Neon Genesis Evangelion, nonché due documentari, Tokyo Scanner di Mamoru Oshii e Commuters di Marc Gouby. Fil rouge dell’incontro è stata la rappresentazione artistica e cinematografica della metropoli giapponese contemporanea e del sempre più distorto rapporto con i suoi abitanti, dei suoi effetti disumanizzanti e metamorfici, che altro non sono se non lo specchio dei nostri incubi più reconditi all’indomani dello scoppio degli ordigni nucleari che ha messo fine alla modernità e ci ha proiettati nell’abisso dell’era post-atomica.

Cinema Errante ringrazia Francesco Barbieri per la collaborazione.

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