L’ultimo film del giapponese Noboru Iguchi, Dead Sushi è un “horror ittico” composto da tre ingredienti fondamentali: cibo (pesce, per l’appunto), erotismo e violenza.

Protagonista del film è Keiko, interpretata dalla ventunenne prodigio delle arti marziali Rina Takeda, figlia di un rinomato chef di sushi. È proprio il padre a iniziare Keiko a quest’arte culinaria, ma la ragazza sembra sempre non all’altezza. Per questo motivo decide di scappare, giungendo infine ad un albergo di campagna, dove viene assunta in qualità di cameriera. Neanche qui la vita le sorride: le colleghe la deridono, i superiori la rimproverano di continuo per la sua sbadataggine; viene ridicolizzata persino dai clienti di turno, una delegazione di un’industria farmaceutica. A questo punto Keiko viene coinvolta, suo malgrado, nei piani di vendetta di un ex-ricercatore e ex-socio della medesima industria, che negli anni ha sviluppato un siero in grado di far tornare in vita animali morti, con qualche “effetto collaterale”: i redivivi diventano dei killer. Per far fuori i suoi ex-colleghi, lo scienziato riporta in vita un calamaro gigante, che a sua volta crea un “esercito” di sushi, desiderosi di riscatto per l’umiliazione di esser mangiati dagli umani. Grazie alla sua conoscenza delle arti marziali e della preparazione del sushi, Keiko riuscirà a sconfiggere quest’armata “infernale”, composta da sushi volanti, sushi assassini assetati di sangue umano, sushi che al posto delle squame hanno rasoi, sushi muniti di denti affilati peggio di Dracula; ci sono persino sushi che copulano e creano centinaia di sushini-figli pronti al combattimento. Ma l’impresa di Keiko non sarebbe stata vittoriosa senza il prezioso supporto di Tamago sushi, un sushi all’uovo “artista” (ama cantare), emarginato dai colleghi sushi per via della sua natura non ittica; la ghettizzazione vissuta da entrambi nel loro contesto sociale sarà la molla che unirà i due “outsider”.

In una recente intervista Noboru Iguchi svela alcuni dettagli sul “making of”, soffermandosi in particolare sulle difficoltà riscontrate nell’animazione dei veri protagonisti, i sushi e i sashimi:

We wanted to create our sushi monsters primarily with molded latex and special makeup (as opposed to relying exclusively on CGI), and it was particularly difficult to figure out how to make the fangs. I wanted it to look really brutal, yet delicious. And since the molded sushi is so small — life-size, in fact — it was difficult to get it to move as smoothly as we’d have liked.

Come vediamo nei titoli di coda, il regista ha fatto ricorso ad alcuni vecchi trucchi del mestiere, animando i sushi con fili “invisibili”. Una menzione speciale meritano le numerose sequenze citazioniste (ad esempio, gli umani morsi dai sushi assassini si trasformano in zombie romeriani, naturalmente rivisitati in chiave culinaria orientale), e la colonna sonora, che nelle fasi di combattimento più duro ricorre immancabilmente al metal.

Dead Sushi è sicuramente un film che piacerà ai seguaci dello splatter, e incontrerà i gusti degli amanti del sushi, anche se, secondo il regista, questa pellicola “makes you unable to eat sushi” (leggi l’intervista completa QUI). Al di là delle sue “peculiarità”, e di alcune gag demenziali, il film è davvero divertente, le risate sono assicurate. Se avete voglia di avventurarvi, QUI trovate il sito ufficiale del film, in versione giapponese e inglese. Forse, in seguito alla visione di questa parodia di un film horror di serie infima, potrete cogliere appieno il significato di una frase una volta letta su Youtube: “Japanese need a separate internet”!

Scritto da Irina Marchesini.

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