Knock Down the House – Alla conquista del Congresso è un documentario fortunato. Partito con un crowdfunding su Kickstarter nel 2016, ha beneficiato di un timing perfetto, grazie alla imprevedibile vittoria nel 2018 di una delle sue quattro protagoniste, diventata in brevissimo tempo la celebrity politica più conosciuta degli Stati Uniti. Il documentario, in streaming su Netflix dal primo maggio 2019, è stato infatti definito la storia d’origine di Alexandria Ocasio-Cortez (in breve AOC), la candidata al Congresso più giovane della storia statunitense, autodefinitasi socialista democratica e portavoce di un piano radicale di sostenibilità’ ambientale, il Green New Deal, che richiama, anche nel nome, le politiche sociali di Roosevelt durante la Grande Depressione.

Knock Down the House

Donne e politica al tempo di Trump – Knock Down the House: recensione

Alexandria Ocasio-Cortez non è la sola donna la cui corsa per le primarie e’ raccontata nel documentario. L’idea della regista Rachel Lears e’ infatti quella di seguire le campagne politiche di quattro donne per le elezioni midterm americane del 2018: oltre a AOC, laureata alla Boston University ma barista per necessità’, ci sono Cori Bush, infermiera di St. Louis, Missouri; Paula Jean Swearingen, figlia di un minatore di carbone nel West Virginia; e Amy Vilela, madre coraggio a Las Vegas, Nevada. Le quattro donne sono di età’ e di etnie diverse (Alexandria e’ latina, Cori afroamericana, Paula Jean e Amy bianche), ma hanno come comun denominatore quelle di essere state scelte da Brand New Congress and Justice Democrats, organizzazioni di base che reclutano candidati estranei al Congresso per sfidare i politici affermati.

Nelle intenzioni della regista, dunque, il documentario doveva originariamente servire ad esplorare la natura del potere politico dalla parte di chi si apprestava a sfidarlo da una posizione di svantaggio, soprattutto in un momento della storia politica americana, quello post-Trump, altamente divisivo.

Lears non poteva immaginare che Alexandria, la ragazza nativa del Bronx diventata il simbolo della sinistra radicale americana per le sue battaglie a favore dei lavoratori e degli immigrati, sarebbe diventata di lì a poco una instant star, grazie alla sua imprevedibile vittoria alle primarie democratiche del 2018 nel Quattordicesimo Distretto di New York, quel Bronx-Queens a maggioranza latina e afroamericana da 14 anni feudo del democratico Joseph Crowley, bianco upper-class che vive in Virginia e che, come dice un attivista del gruppo di AOC in una sequenza del documentario, “se venisse da solo nel Bronx si perderebbe”.

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La stardom di Alexandria – Knock Down the House: recensione

Il documentario ha potuto così’ avvantaggiarsi del momento propizio, tanto che Netflix ne ha finanziato tutta la postproduzione per fare in modo che uscisse entro il 2019. Le ragioni della centralità’ di Alexandria Ocasio-Cortez sono molteplici. La prima e’ di ordine logistico: sia Alexandria che la regista vivono a New York, cosicché’ Lears ha potuto seguire l’ascesa di AOC sin dai suoi esordi in stanze male arredate e seguirla nei lunghi pomeriggi a bussare alle abitazioni private per cercare sostenitori, ed e’ riuscita ad avere gli unici preziosi fotogrammi di Alexandria mentre in auto si dirige verso il punto di ritrovo per l’Election Night e a registrare il momento iconico della sua reazione alla vittoria.

L’altro motivo è di natura cinematografica: Alexandria Ocasio-Cortez è una diva nata. L’innegabile fotogenia, la grinta e la chiarezza espositiva la rendono candidata perfetta per quest’epoca di media-schermi e cultura iper visuale. AOC emana quel che Weber chiama carisma, un “potere straordinario” che la fa emergere come leader naturale, che sia dietro al bancone di una taqueria a sciacquare bicchieri o in diretta TV a dibattere con un politico di carriera come Joseph Crowley, sconfitto con poche semplici battute in una delle scene più riuscite del documentario.

Knock Down the House sottolinea con enfasi le sfide e i giudizi che Alexandria sa di dover affrontare come candidata donna, prima ancora che come esordiente. Fin Nella sequenza di apertura, Alexandria e’ ripresa di spalle davanti ad uno specchio in bagno mentre sceglie con cura quale make-up applicare. Mentre si trucca, si volta verso la telecamera e dice “Getting ready, for women it involves so many decisions about how you’re going to present yourself to the world”. Prepararsi, rendersi presentabile per una donna ha un significato ben più profondo che per un uomo, perché una donna sa che verrà giudicata per ogni dettaglio fuori posto, per ogni mancata adesione a norme di comportamento inamovibili, senza nessuna certezza che – anche rispettando tutte le regole – non sarà criticata.
Una condizione, questa, che la accomuna alle altre tre protagoniste del documentario.

Knock Down the House

La lotta di Antigone – Knock Down the House: recensione

Knock Down the House, infatti, non e’ e non vuole essere solo una story of origin della candidata che ha avuto più successo. Scegliendo di seguire e narrare fino in fondo anche le storie non a lieto fine di Cori, Paula Jean e Amy, tutte sconfitte dai candidati mainstream, la regista mette in luce non solo la condizione di non-privilegio delle candidate, ma soprattutto le motivazioni che le hanno spinte ad affrontare una prova erculea e con pochissime probabilità di riuscita: la ragione e’, come direbbe Battiato, la cura.

Il concetto del prendersi cura dell’altro come atto radicale e’ stato gia’ espresso dalla scrittrice e attivista Naomi Klein nel suo ultimo libro No is not enough, in cui Klein afferma che il lavoro di cura dell’uno nei confronti dell’altro e delle nostre comunità e’ l’antidoto alla tossica politica di Trump. L’avere a cuore la comunita’ diventa quindi una caratteristica declinata al femminile che ha la capacità di rivoluzionare il sistema attuale. Il documentario porta avanti questo ragionamento, mostrando come quella che e’ sempre stata considerata una debolezza femminile viene invece rivendicata come forza femminista, principale motore di cambiamento per una societa’ piu’ equa.

Alexandria, Cori, Paula Jean e Amy hanno in comune un’idea di politica nel senso alto e originario del termine, la cura della loro polis, la loro comunità di appartenenza.
La struttura narrativa del documentario svela in maniera discreta e a passi lenti la ragione principale che sostiene quel fortissimo volere, ed e’ spesso una ragione drammatica: Alexandria ammette di aver fatto turni massacranti di lavoro per evitare che la madre perdesse la casa dopo la morte del padre; Cori vive nello stesso distretto in cui la polizia uccise un ragazzo afroamericano disarmato, Michael Brown, e partecipa alle proteste di Ferguson; Paula Jean combatte contro le aziende che inquinano il West Virginia dopo aver visto morire di tumore molti suoi famigliari; Amy lotta per ottenere la sanità gratuita negli Stati Uniti dopo che sua figlia Shalynne mori’ di un’embolia polmonare per essersi vista rifiutare le cure perché non in possesso di assicurazione sanitaria.

Queste donne che tramite il coraggio derivato dal dolore sfidano il potere di uomini più anziani e comodamente inseriti nei centri del potere istituzionale mi ricordano Antigone, compiendo però un atto inverso: se l’eroina greca sfidava il tiranno Creonte per poter degnamente seppellire il fratello Polinice, considerato traditore della patria, Alexandria e le sue sorelle di lotta, a cui e’ stato chiesto di seppellire i loro morti in silenzio, scelgono invece di gridare a gran voce l’ingiustizia delle loro morti, di non nascondere la morte ma di renderla visibile e in questo modo farla scandalo di un potere governativo che non se ne vuole prendere cura.

Il documentario non distoglie lo sguardo dal dolore, ma non lo rende neanche spettacolo. Lo mostra, lo rende visibile, sempre con pudore, per sottolineare il coraggio e la sofferenza che insieme formano l’ossatura di una nuova resistenza, femminile, minoritaria, non-privilegiata, che lentamente ma inesorabilmente si prenderà il Congresso e gli Stati Uniti. Una resistenza che ha cura dell’altro ed e’ per questo, come Antigone, invincibile.

Maria Elena D.
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