willow buffy the vampire slayer

20 anni fa nasceva Buffy the Vampire Slayer di Joss Whedon. Amatissima dal fandom, è una di quelle serie che hanno fatto da ponte tra la tv di ieri e quella di oggi. E non solo; il suo mix di horror, umorismo nerd e battute meta è dilagato anche nel cinema, canonizzando quanto iniziato dalla saga di Scream.

Ma i meriti di Buffy the Vampire Slayer non finiscono qui. Whedon e compagnia riescono a portare in tv una delle prime coppie dichiaratamente lesbiche della televisione, Willow e Tara. Il loro amore purtroppo non sopravvive a quei cliché che ancora oggi vogliono la morte tragica dei personaggi omosessuali nelle serie tv. Anche lo show cade nello stereotipo, ma per lo meno lo collega a una delle più interessanti rappresentazioni della violenza di genere che la serialità ci abbia offerto.

Lo vediamo quando Whedon costruisce un Big Bad particolare, partendo dal Trio dei nerd Warren, Jonathan e Andrew. Inizialmente personaggi comici, mimano (male) i cattivi dei fumetti e sembrano dei protagonisti di Big Bang Theory ante litteram. Warren è l’unico davvero malvagio. A differenza di tutti gli altri mostri finali sconfitti da Buffy, Warren è banalmente umano. Proprio per questo, è il villain più spaventoso che la Scooby Gang abbia incontrato. Meschino, vile, livoroso, è soprattutto un misogino. Nell’episodio Dead Things, Warren crea un dispositivo per controllare la volontà delle persone, usandolo come una droga dello stupro. Quando cerca di violentare la sua ex, le cose vanno male e Warren la uccide.

Assassino e stupratore, Warren è l’inventore del Buffybot, il simulacro della cacciatrice commissionato da Spike come sex toy. Warren è un fan stalker di Buffy, come Mark David Chapman lo era di John Lennon. La sua ossessione si fonde alla misoginia, precipitando il suo arco verso un finale tragico per tutti: verificata l’impossibilità di sconfiggere la Cacciatrice con le sue (scarse) abilità, Warren le spara, ferendo Buffy e uccidendo Tara, la compagna di Willow – mettendo dunque fine a una delle prime love story lesbiche della storia della tv.

La collisione tra il plot di Warren e quello di Willow genera il momento più oscuro dell’intera serie. La violenza di genere è pareggiata dalla trasformazione di Willow, che da ragazzina goffa e secchiona diventa qualcosa di più complesso rispetto a una banale dark lady. Il pubblico si identifica in Willow, fino a quel momento buona senza appello nonostante qualche uscita di carreggiata (le intossicazioni di magia, i conflitti con Tara). La nuova Willow parte da una posizione di empowerment (i suoi poteri di strega) per usarla ai fini di una vendetta inesorabile e spietata. Fin qui, siamo ancora vicini alla logica del classico rape and revenge. Quello che colpisce è come Whedon scardini definitivamente le regole del suo teen drama soprannaturale. I confini tra buono e cattivo sfumano come mai prima in Buffy the Vampire Slayer, e cadono le ipocrisie. Fatta la pelle a Warren, è Willow a diventare il Big Bad della stagione – il ruolo per cui Warren non era mai all’altezza, perché troppo poco potente –, mettendo il pubblico davanti a una complessità di caratteri e relazioni difficile da immaginare prima di quel momento.

Tanto di cappello a Joss Whedon: con Warren scrive il suo personaggio più odioso partendo da un’idea non fantasy, mentre con Willow rompe l’incantesimo morale delle sue eroine, mostrando che finalmente possono sporcarsi le mani, anche di sangue.