[Spoiler alert per le stagioni 1-4]

Online su Netflix dal 9 giugno, la quinta stagione di Orange Is the New Black sfodera tutta la sua intensità di visione, tenendo insieme la dimensione affettiva ed emotiva con quella più radicalmente politica.

Orange Is the New Black

L’esplicitarsi delle problematiche etiche e morali per i personaggi nel momento in cui le detenute divengono prodotti del sistema neoliberista aveva raggiunto il culmine con la tragica morte di Poussey alla fine della quarta stagione.

Il secondino responsabile di quella morte non è ancora stato punito, la detenuta bianca, famosa e privilegiata Judy King sta per essere rilasciata per evitare che venga coinvolta nell’incidente e il direttore Caputo è stato indotto a una conferenza stampa che toglie ogni responsabilità dall’azienda che ha rilevato la gestione della prigione, la MCC. La situazione è esplosiva, e (ir)responsabilità personale, tendenza a gestire la propria emotività in modo socialmente inappropriato, esasperazione morale e desiderio di vendetta convergono nella pistola carica portata nel penitenziario dal sadico Humphrey, e che nell’ultima inquadratura della stagione precedente veniva impugnata da una Dayanara in piena crisi esistenziale.

La quinta stagione di Orange Is the New Black riparte da lì, e condensa in poco più di 12 ore i pochi giorni che seguono a quel momento. A questo proposito, la recensione di Wired ha parlato di una sorta di unico “episodio in bottiglia“, a basso costo ma con una grande qualità di scrittura. E questa stagione ha davvero una sceneggiatura di estrema bellezza, che coinvolge completamente la spettatrice amplificando a dismisura il meccanismo, ormai consolidato nella serie, di seguire le personagge nelle loro esperienze di relazione, fra passato e presente. La serie esplora con partecipazione e sentimento il modo in cui ciascuna detenuta e membro dello staff reagisce alla rivolta, sottolineando i punti di maggiore tensione e crisi senza mai cedere a formule semplicistiche.

Su tutte, si segnala la graffiante scrittura di Frieda e soprattutto la dolente Taystee, i cui ruoli fanno da perno anche geografico per lo sviluppo delle vicende. Più che nelle altre stagioni il lato commedico è particolarmente amaro e feroce, mentre la rappresentazione del dolore garantisce un’adesione piena.

Le donne di Litchfield continuano così a mostrarci le loro diversità identitarie, che implicano come sempre il contesto sociale, economico e culturale in cui hanno passato la vita prima dell’arresto. Le proprie debolezze, la difficoltà di relazionarsi con le comunità di riferimento, la problematicità nel prendersi cura di sé e delle proprie pari esplodono di fronte alla situazione precaria, in cui le regole vanno completamente riscritte.

La quinta stagione di Orange Is the New Black raggiunge dunque momenti di grande raffinatezza metanarrativa, con l’esplicitazione della complessità dei rapporti di sorveglianza e punizione; la vendetta e il sadismo vengono corteggiate in più di un’occasione, e rappresentate senza indulgenze (soprattutto attraverso il difficile personaggio di Piscatella).

Una stagione che riflette in modo profondo e originale su potere e responsabilità, individualismo e comunità, ma anche lutto e perdita, amore e amicizia, tradimento e fedeltà.

Ilaria D.
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