Che la carriera di M. Night Shyamalan stesse andando decisamente “verso Sud” – e non nel senso positivo che gli attribuiamo su queste pagine – è un fatto riconosciuto da tutti. Novello enfant prodige di Hollywood ai tempi de Il sesto senso e Unbreakable, i suoi film successivi hanno riscosso un successo inversamente proporzionale alle aspirazioni del regista (pur rimanendo The Village probabilmente il suo lavoro più compiuto), toccando il nadir con le ultime due prove. Niente di meglio quindi che ripartire da zero, e chi poteva essere a dargli questa opportunità se non Jason Blum, lo scaltro Re Mida dell’horror a basso budget ma dagli alti profitti? Infatti The Visit funziona meravigliosamente.

Cinque milioni di dollari di budget (After Earth ne era costati 130), pretese ridotte al minimo e tanta voglia di divertire e divertirsi, per fare in modo che tutto il talento di Shyamalan torni a brillare, regalandoci uno degli horror dell’anno. La storia vede due fratelli (Olivia DeJonge e Ed Oxenbould) andare a trovare i nonni che non hanno mai conosciuto, poiché la madre aveva chiuso i rapporti con i genitori da quindici anni. I due simpatici vecchietti (Deanna Dunagan e Peter McRobbie) si comportano però in maniera sempre più strana e il documentario sulle origini familiari che la sorella maggiore voleva girare registra invece immagini inquietanti.

Shyamalan utilizza quindi la tecnica del found footage, giustificandola da tutti i punti di vista e sfruttandola al meglio, senza mai forzarla, donando un po’ di linfa vitale alla più abusata – e ormai logora – estetica horror degli ultimi anni. La capacità del regista di coniugare il racconto dell’orrore classico (Hansel & Gretel è il riferimento più immediato) con la storia familiare ha del miracoloso per l’equilibrio con cui le mette in scena, raggiungendo inoltre un altro traguardo alla portata di pochi, ovvero spaventare senza avvalersi di situazioni paranormali, ma solo con l’uso intelligente di inquadrature e montaggio. I jump scares sono infatti limitati a un paio di momenti, peraltro perfettamente giustificati, ma The Visit offre comunque una buona dose di spaventi e un senso di tensione costante. Memorabile da questo punto di vista la scena del forno o l’inseguimento sotto la casa, dove viene fuori un’altra caratteristica ben precisa del film: l'(auto)ironia. La bravura di Shyamalan sta proprio nel giocare con le aspettative dello spettatore con tempistiche perfette, sapendo quando soddisfarle e quando farsene gioco, dimostrando una conoscenza perfetta delle dinamiche dell’horror e riuscendo ad assestare con efficacia anche il pezzo forte del suo repertorio, lo “Shyamalan Twist”, che questa volta però non serve a ribaltare la prospettiva sul film, ma ad aggiungere ulteriore tensione alla storia. La sottotrama familiare fornisce un non pretenzioso e gradevole quid drammatico, mentre gli ammiccamenti cinefili compiaceranno gli esperti del genere. Alla fine ci si diverte molto con The Visit e non si può quindi non sperare che per Shyamalan questo sia solo il primo passo verso una gloriosa risalita.

Scritto da Eugenio De Angelis.

Eugenio D.Giusy P.Sara M.
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