Una delle visioni migliori del periodo estivo è stata la stagione 3 di GLOW, uscita su Netflix in agosto. La serie sulle aspiranti attrici che si trovano negli improbabili panni di wrestler continua con un’eccellente rilettura degli anni ’80, sempre critica nella sua visione e in grado di usare l’ambientazione d’epoca per riflettere sui temi del presente. Per vedere come, saranno necessari alcuni SPOILER.

GLOW stagione 3

GLOW – Stagione 3: recensione

La stagione parte al rilento, prendendosi un tempo molto (troppo) lungo per fissare l’azione nella nuova location, l’hotel di Las Vegas amministrato dall’imprenditrice ed ex-soubrette Sandy Devereaux St. Clair, interpretata da Geena Davis. Il personaggio ha un ruolo marginale, più che altro utile a rappresentare il possibile futuro delle wrestler votate agli affari come Debbie, che non a caso assume un’importanza maggiore durante la stagione.

Dopo i primi episodi più blandi, si torna subito nel vivo dell’azione di GLOW. Durante l’episodio Say Yes, la storica protagonista Ruth si fa da parte, ritirandosi in una noiosa questione sentimentale, mentre emergono le vere priorità di questa terza stagione. In primo piano ci sono Debbie e Bash, ma viene dato spazio anche ai personaggi secondari. Avremo dunque le storie di Sheila e Sam, ma anche quelle della coppia lesbica formata da Artie e Yolanda, e delle tensioni tra le due amiche Jennie e Melanie. Ci sono accenni di micro-trame anche per Tammé, Carmen e Cherry. Un risultato ottimo nella gestione dei subplot di quello che è un racconto corale che sembra semplice, ma in realtà è complesso e pieno di personaggi – senza contare che a quelli elencati, si aggiungono la drag queen Bobby Barnes e il nuovo fidanzato di Debbie.

Uno degli aspetti migliori della scrittura di GLOW è come riesce a mescolare gli elementi, facendo continuamente dialogare tra loro le varie sottotrame, evitando di dividere in compartimenti lo squadrone di personaggi. I subplot della stagione non sono sempre in punta di penna, ma ciononostante si prestano a buoni momenti. Ci sono quelli drammatici, come il confronto tra amiche nell’episodio Outward Bound, scritto dalle creatrici dello show Liz Flahive e Carly Mensch. Ci sono quelli comici e sorprendenti, come la sovversione carnevalesca di Freaky Tuesday, in cui le performer si scambiano di ruolo sul ring. A legare queste storie c’è sempre il tema della frustrazione delle wrestler costrette in ruoli stereotipati spesso umilianti, specie per chi non è la fantasia white suprematist Liberty Belle. Dopo l’analisi chirurgica di questo fenomeno, esplorata nella stagione precedente con Mother of All Matches – uno degli episodi migliori dello show – si sentiva la necessità di far esplodere la questione, dando la possibilità ai personaggi di ribellarsi.

Scambio di ruoli in GLOW – Stagione 3: recensione

In Freaky Tuesday, oltre al puro divertimento meta dato dal remix di costumi e ruoli, viene attuato lo scambio principale, quello tra Ruth, protagonista per due stagioni, e la sua frenemy Debbie. Ruth, nella prima stagione, è stata caratterizzata come una persona che ha bisogno di rendersi conto di non essere sempre vittima degli eventi, assumendosi la responsabilità delle azioni terribili compiute nei confronti della migliore amica Debbie, quella che più legittimamente poteva dirsi arrabbiata. Ma con tutta la strada fatta dalle due donne, ora gli equilibri devono cambiare. Anche nelle dinamiche di antagonismo tra le due, mai del tutto cancellate dalle autrici che continuano a mettere in luce i diversi piani di privilegio di ciascuno dei personaggi.

Debbie assume così i panni di Zoya, scrollandosi di dosso quelli di Liberty Belle – che indosso a Ruth risultano ancora più leziosi. Debbie è una magnifica antieroina, unapologetic as fuck, anche grazie all’interpretazione strepitosa di Betty Gilpin. Ma è proprio su quell’unapologetic as fuck che la faccenda si fa però più interessante. Debbie, ora producer che non viene mai presa sul serio in quanto femmina, intraprende un percorso di empowerment personale che non viene celebrato acriticamente dalla sceneggiatura, impegnata a scandagliarne invece anche i risvolti più oscuri.

Alla fine della stagione, viene sottolineato come il suo successo sia ottenuto a fatica — perché è davvero svantaggiata, essendo una donna — ma sempre sulla pelle di altre persone. Le ballerine di Las Vegas che perdono il lavoro; Sandy, che invece voleva essere sua amica; e il gay nascosto Bash, la cui falsa eterosessualità viene vincolata all’affare che Debbie conclude (rubandolo a qualcun altro). Debbie diventa la guardiana delle false apparenze eteronormative, unica persona a cui Bash abbia confessato la verità — per ragioni discutibili, legate ai difetti dello stesso Bash e ai suoi privilegi e pregiudizi maschili, come la serie non manca mai di sottolineare. La dinamica tra questi due è infatti l’idea più forte di tutta la stagione, presentata con mille sfaccettature. Non si fanno sconti né a Bash, né a Debbie, che sono personaggi a tratti sgradevoli anche in virtù di omofobia e misoginia internalizzate. L’introduzione del personaggio della drag queen sembra avere per Bash la stessa funzione di Sandy per Debbie, mostrando come il produttore rifiuti di collaborare unicamente per via del terrore con cui vive la propria omosessualità. Come l’imprenditrice Sandy è un doppio di una Debbie che non potrà mai essere davvero sua alleata, Bobby Barnes non potrà mai lavorare con Bash, perché la sua semplice esistenza è vissuta come una minaccia.

L’amarezza di GLOW – Stagione 3: recensione

Narrativamente, la stagione è scritta e girata straordinariamente bene, anche se si può dire che sia troppo severa proprio con Debbie: si mette a fuoco il danno collegato al suo empowerment, ma non viene contestualizzato in un ragionamento sul capitalismo. Tutto sembra dipendere dalle sue decisioni individuali, come sottolineato dalla contrapposizione con la scelta di “purezza” fatta da Ruth nel finale, senza un vero ragionamento su quali sarebbero le alternative. D’altra parte, l’idea è interessante proprio per la visione amara che propone, venata di un pessimismo che non è stato mai così evidente come in questa terza stagione.

Per altro, tutto è coerente con l’idea iniziale dello show, che vedeva la protagonista Ruth alle prese con un viaggio dentro se stessa, in cui si trovava costretta a vedersi come una cattiva persona in virtù delle proprie azioni. La sua emancipazione passava attraverso questa presa di coscienza. Ora la protagonista è Debbie, anche lei responsabile di azioni discutibili, per quanto perfettamente motivate. Al contrario di Ruth, Debbie si è emancipata proprio così. Le prossime stagioni dovrebbero a rigor di logica mostrare una sorta di resa dei conti tra le due amiche. Visto l’acume della scrittura di GLOW, sappiamo in anticipo che non sarà nulla di troppo manicheo.

Sara M.
8