Questo articolo è a firma di Ilaria A. de Pascalis e Lucia Tralli.

Gender discussi 2017

Dalle proteste transfemministe contro l’insediamento di Trump allo sciopero generale delle donne dell’8 marzo, alla giornata mondiale contro la violenza di genere del 25 novembre, il 2017 ha visto spesso questioni di gender al centro dell’attenzione.
Ancora una volta, anche cinema e serie hanno scatenato dibattiti e proposto personagg* originali e interessanti, oppure problematic* quando non spaventos*.

Seguiteci in questa carrellata in due episodi!

Dottora

#1 L’arrivo della Dottora

Il 16 luglio, durante la pausa del match finale del torneo di Wimbledon fra Federer e Ciclic, la BBC ha mandato in onda uno spot di 60 secondi per annunciare il nuovo protagonista della serie Doctor Who. La sorpresa è stata deliziosa: dallo speciale di Natale noi Whovians abbiamo una Dottora, interpretata da Jodie Whittaker, già apprezzata da molti in Broadchurch. Ma diversi spettatori (maschi, ovviamente) si sono violentemente sdegnati, gridando a una inutile concessione alla correttezza politica. Ma come ci ha ricordato il Mirriam Webster, “dottore” in inglese è neutro.

#2 La Bella Addormentata Creepy nello spazio

Sarà mai possibile rendere ancora più maschilista e agghiacciante una fiaba come La bella addormentata? Jon Spaihts è riuscito nell’impresa con la sceneggiatura di Passengers, perfetta illustrazione di relazione violenta: l’ossessione mortifera di Chris Pratt per Jennifer Lawrence non può che essere raccontata come “amore”. E nonostante l’uomo la condanni a vivere in isolamento con lui, Aurora non può che finire per ricambiare il suo sentimento. Speriamo nell’uscita in sala di Passengers Rearranged!

#3 La cancellazione di Sense8

Il 2017 è l’anno in cui Netflix ha annunciato la cancellazione di una delle serie che più aveva celebrato l’identità queer e globale dei suoi personaggi, Sense8. L’annuncio è sembrato del tutto inspiegabile, e membri del cluster da ogni dove hanno sollevato sonore proteste. Lana Wachowski ha quindi annunciato la decisione di Netflix di produrre un finale per il 2018, che garantisca quanto meno una conclusione.

Ghost in the Shell

#4 Il whitewashing di Ghost in the Shell

Che Hollywood abbia da sempre un problema di whitewashing dei ruoli di personaggi non bianchi non è cosa nuova, che ancora si debbano vedere certe cose nel 2017, oops 2018, sembra invece incredibile. Eppure alla Paramount è sembrata un’ottima idea scritturare Scarlett Johansson per interpretare la protagonista cyborg Major del celebre e amatissimo manga (e poi anime) Ghost in the Shell, generando una più che legittima protesta da parte di fan e attrici e attori asiatici che non hanno accettato di buon grado di vedere una delle eroine più celebri della cultura manga interpretata da una donna bianca. Il film ha fatto flop al botteghino, per stessa ammissione della produzione anche per il backlash dovuto alla scelta di cast. Speriamo che dove non ha potuto la ragione, possa il portafoglio. La rinuncia di Ed Skrein a un ruolo nel prossimo reboot di Hellboy per non cadere nel whitewashing sembra far ben sperare!

Oscars so White

#5 #Oscars(Not)SoWhite, but still #OscarsSoMale

Ancora una volta, i premi Oscar non reggono il passo con il cambiamento in corso: dopo l’assenza di candidature a persone di colore, i membri dell’Academy (quasi tutti maschi bianchi immersi nel privilegio) si sono persi l’esistenza delle registe. E si è talmente abituati agli #oscarsowhite che nessuno era sorpreso che il premio a miglior film venisse assegnato sul palco a Lalaland (con il suo protagonista re del whitesplaining) anziché al legittimo vincitore Moonlight.

#metoo

#metoo

Fuori da ogni classifica, non possiamo non nominare la tempesta che ha mostrato la punta dell’iceberg della violenza di gender in cui tutt* noi viviamo, ogni giorno. Il 10 ottobre, Ronan Farrow pubblica sul sito del Newyorker un’inchiesta sul modo in cui Harvey Weinstein, potentissimo produttore hollywoodiano, abbia esercitato tale potere attraverso ricatti, molestie e violenze di natura sessuale su 13 donne.
Alyssa Milano rilancia su Twitter l’idea dell’attivista Tarana Burke di scrivere #metoo se si è state vittime in qualche modo di violenza o molestie sessuali. Per una serie di cause, il tappo salta in modo più vistoso del solito. #metoo (in Italia #quellavoltache) viene usato da migliaia di persone in tutto il mondo – fra cui numerose celebrities – per raccontare la propria storia, trasformandosi in un racconto collettivo delle infinite forme assunte dalla violenza di gender. E fra polemiche, slut shaming e victim blaming, si apre uno spiraglio sulla pervasività della violenza; ma anche sul contropotere del racconto pubblico della propria esperienza, soprattutto se condivisa con altre persone, e ancora di più se inizia ad essere recepita come verosimile. Come dicono le splendide donne del Saturday Night Live, “oh, vi abbiamo rovinato una serie TV? Facci fare un elenco di tutto quello che è rovinato per noi: parcheggiare, camminare, bere, uscire…” Welcome to hell.