In Quella casa nel bosco abita un gruppo di ragazzi da film horror: la bionda, l’atleta, lo strambo, il nero e la vergine. Materiale orrorifico già visto, se non fosse per lo sceneggiatore Joss Whedon, il papà di Buffy The Vampire Slayer.

The Cabin in the Woods parte, infatti, con i classici stereotipi di genere, ma basta poco per capire che l’ordinario è solo il punto di partenza. Dietro alla macchina da presa, e co-sceneggiatore, di Quella casa nel bosco c’è uno degli autori più apprezzati di BTVS, Drew Goddard (Dirty Girls; Conversations with Dead People), presenza che permette a Whedon di lavorare in completa sinergia creativa.

L’approccio alla pellicola, per stessa definizione di Whedon, è riassumibile con queste parole: “I film horror sono una ficata, come ricostruirli?“. Un’esigenza autoriale, quella di rimescolare le regole, che in questo caso permette a sceneggiatore e regista di decostruire e dileggiare tutte quelle istituzioni narrative care al cinema hollywoodiano. Il risultato è un’opera che non può essere etichettata in un filone o sub-genere preciso, presentando caratteristiche che si rifanno all’horror classico (con echi de La Casa di Raimi), ma anche alla commedia (la telefonata di Mordecai; il combattimento durante i festeggiamenti), passando per l’exploitation (la scena di sesso tra Curt e Jules).

Il gioco al massacro è diretto da un’organizzazione segreta, comandata da un emblematico regista, che ha il compito di seguire le regole: sarà infatti l’associazione, seguita da Richard Jenkins e Bradley Whitford, a manovrare il cast affinché tutto vada secondo copione. Sono giovani, devono essere puniti: è la legge di genere, non può andare diversamente.

Riuscirci non sarà impresa facile: I cattivi dovranno manipolare l’intero gruppo per trasformare i personaggi in stereotipi pronti al macello; l’unico, inconsapevole, potere in mano ai ragazzi sarà quello di scegliere quale icona horror affrontare.

Le figure di riferimento sono infinite: con spirito goliardico, Whedon si diverte a risvegliare mostri, come zombie e altri camei a sorpresa, fino all’autocitazione di Buffy e Firefly, oltre a richiamare alcuni tra i suoi attori di riferimento: Fran Kranz (Dollhouse), Amy Acker (Angel) e Tom Lenk (Buffy). Gli autori travestono, quindi, i personaggi da cliché per poi mandare in tilt l’intero meccanismo: la droga, sinonimo di morte annunciata, nella mani degli sceneggiatori diventa un’arma positiva, così come la quasi vergine si ritroverà a passare da vittima sacrificale a regista.

La coppia Goddard/Whedon invita il pubblico a riflettere sulla possibilità di innovazione, e su come l’horror possa ancora rappresentare un terreno fertile per la sperimentazione. Quella casa nel bosco non è solo il tributo a un filone cinematografico, ai suoi incubi e alle leggi che lo dominano, ma è, soprattutto, la denuncia di un’industria hollywoodiana bisognosa di ripartire da zero. Del resto – come dice la protagonista – È tempo di dare una possibilità a qualcun altro.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.

Alice C.Barbara N.Chiara C.Edoardo P.Giusy P.
88877