Partiamo dal nome: Desde Allà (Da lontano). Sta tutta lì, nella distanza, la chiave del film di Lorenzo Vigas, vincitore del Leone d’Oro a Venezia. Perché Ti guardo – il decentrato titolo italiano – è un racconto interamente giocato sulla metafora del distacco, come lo spazio che separa Alfredo dai corpi nudi che utilizza per le sue pratiche autoerotiche. L’incontro con Edler, un giovane di strada impulsivo e violento, segna l’inizio di un legame affettivo in cui Vigas traspone la sua personale fissazione autoriale: l’assenza del padre.

Ed è proprio dalla sfera familiare che proviene l’ossessione di Alfredo. Il soggetto, scritto dallo stesso regista insieme a Guillermo Arriaga, non fornisce una spiegazione a tale tormento, ma si limita a osservare il suo protagonista a debita distanza, fino a raggiungere un climax che sfocia negli archetipi narrativi del noir metropolitano, di cui Caracas è l’assoluta protagonista. Città lacerata da un divario economico e culturale che regola ruoli e rapporti interpersonali e da cui Edler e Alfonso sono costantemente influenzati e giudicati. È difficile, infatti, comprendere le scelte dei protagonisti senza contestualizzarle in un Venezuela barbarico e moralista, dominato da una cultura machista e anaffettiva. Un sottotesto che accompagna l’intera narrazione – insieme al recente Pelo Malo – e amplifica l’incapacità di Edler e Alfredo di gestire il loro rapporto.

Un legame il cui unico trait d’union è la mancanza dei padri e il modo diametralmente opposto di affrontarne l’assenza. Da una parte c’è Edler, che manifesta il suo disagio attraverso la violenza – Se avessi un figlio lo riempirei di botte così capirebbe fin da subito com’è la vita, dice – mentre Alfredo, respingente e calcolatore, è soffocato dall’incapacità di agire, per poi entrambi alternarsi nella parte di vittima e carnefice.

Due aspetti che Vigas mette in scena senza mostrare mai troppo e adattando l’immagine all’emotività dei personaggi, attraverso uno stile di regia asettico e contenuto, ricco di simbolismi e cambi di fuoco, senza musica extradiegetica e con la violenza fuori quadro. Così, anche l’osservatore finisce per seguire Alfedo e Edler da lontano. Lo snodo conclusivo – causato da un avvicinamento eccessivo – esplicita l’impossibilità del protagonista di gestire un malessere profondo e senza cura. E che colpisce con la forza dirompente di un pugno nello stomaco.

Giacomo B.Davide V.Eugenio D.Giusy P.
95 1/279