Due milioni di persone hanno visto la finale di X Factor 8. Tra queste, già due spettatori hanno notato il selfie scattato sul palco tra il giudice Fedez e i suoi due finalisti. Non certo un campione rappresentativo, ma nel mondo dei social network, due esseri umani, di sesso diverso e accomunati dalla fascia d’età over 40, hanno sentito l’esigenza di commentare con me l’accaduto, di persona, usando la voce e non un tweet o un post. Una coincidenza che mi ha fatto riflettere. Personalmente, da spettatrice e da over 40, mi è sembrato un segno dei tempi.

Se lo scorso marzo, durante la notte degli Oscar, Ellen De Generes ha scattato il selfie più retweettato di sempre, sfruttando in una volta sola celebrità, sponsor e utilizzo del linguaggio ggiovane, oggi in Italia, sul palco della trasmissione più vista dell’anno, il cantante più venduto del momento sceglie di scattarsi una foto, non perché spinto da esigenze di copione, ma esclusivamente dalla sua consuetudine comunicativa. Non si fraintenda. Non intendo darne un giudizio, né tantomeno stigmatizzare il selfie o la sharing communication. Nemmeno lodare la spontaneità di Fedez e della sua squadra (per carità!). Ne faccio una questione di linguaggio, di quotidianità. Un segno dei tempi, di come sia necessario prendere atto dei cambiamenti. La sera precedente, a casa di amici per gli auguri pre-natalizi, siamo ricorsi all’autoscatto, roba old school, ma in fondo il concetto è lo stesso: immortalare un momento felice con una foto. Una volta si doveva aspettare la stampa, oggi si condivide immediatamente, rendendo “sociale” e pubblico un gesto privato. Un gesto spontaneo che, nel caso di Fedez, è stato per di più ripreso da telecamere e osservato da milioni di spettatori.

E se in tv, ormai, sembra assodato e accettato, il cinema arranca, non avendo ancora avuto la forza di ragionare su questo cambiamento generazionale (non a caso notato da over 40). Sono pochi i film che abbiano avuto voglia di ragionarci su. Addirittura, sono aumentate le sceneggiature ambientate indietro nel tempo per non dover avere a che fare con Internet e telefonini. È vero che l’interazione sociale virtuale non è particolarmente fotogenica ed è di difficile resa su uno schermo, ma è anche vero che non cercare di rappresentare i cambiamenti in atto impoverirà il cinema e i suoi contenuti. Pochi gli autori che ci hanno provato oggi, di più quelli che in passato già si immaginavano computer in grado di costruire mondi reali. Oggi che la sfera virtuale è diventata una realtà e ha ripercussioni più potenti di una conversazione al bar tra due persone, sarebbe arrivato il momento di imparare a filmarlo. Perché se un ragazzo si fa un selfie e il cinema non ne parla, allora non esiste. Ma invece esiste e bisogna averci a che fare, magari guardando un po’ più a sud dei nostri nasi.

P.S.: nel video un corto che dimostra come sia facile stigmatizzare e ben più difficile capire, anche se già so che guardandolo sarete tutti con Kirsten.

Scritto da Sara Sagrati.