Sarà pur vero che Ridley Scott nella sua carriera ha fatto un po’ di tutto, ma è altrettanto innegabile che The Counselor si presenti con credenziali da vertigini. A firmare la sceneggiatura originale c’è Cormac McCarthy, autore di serie A della narrativa americana contemporanea (Meridiano di sangue, Non è un paese per vecchi), già portato al cinema da molti e noto ai più per lo stratosferico successo del film dei fratelli Coen. La furbizia dell’operazione non finisce qui, ma continua anzi con la scelta ragionata di un cast interstellare che molla un colpo al cerchio e uno alla botte. Javier Bardem viene catapultato direttamente dalla pellicola dei Coen, e Michael Fassbender, nuovo divo europeo graditissimo agli americani, veste i panni del protagonista, l’Avvocato. Ai due s’aggiungono una Penelope Cruz un po’ stagionata e matronale, Cameron Diaz e Brad Pitt. Qualche particina viene ritagliata per le ciliegine sulla torta: Bruno Ganz, Rosie Perez e la Natalie Dormer di Game of Thrones.

The Counselor è un noir polveroso, dai colori e dai sapori western, ma pur sempre un noir. È programmaticamente ambientato tra El Paso e Ciudad Juárez, luogo tetramente noto per l’incredibile tasso di femminicidi connessi alla produzione di snuff movies. Come in ogni noir che si rispetti, il protagonista compie una scelta che lo porta a sprofondare verso il non ritorno; e la direzione intrapresa è ovviamente quella del Male. L’Avvocato lo dovrebbe sapere, quando si lascia coinvolgere nei loschi traffici dell’amico Reiner/Bardem, e infatti il Male si presenta puntuale a riscuotere la pigione. Il suo agente senza scrupoli è Malkina/Diaz, suggestivamente coperta d’oro, gioielli arroganti e tatuaggi di dubbio gusto. E così inizia il fiume di dolore.

The Counselor non inventa nulla di nuovo, fatta eccezione per la già celebre scena in cui Cameron Diaz dimostra come sia possibile fare sesso con un’automobile. I dialoghi di Cormac McCarthy faticano a ingranare, mettendo in bocca ai personaggi battute altisonanti che sarebbero più a loro agio sulla carta. Molto viene detto, mentre è proprio quel poco che viene solo mostrato a sostenere l’intero film. I momenti davvero riusciti sono quelli più prettamente cinematografici, come le sequenze che vedono in azione il misterioso Sam Spruell, sempre intento a provocare morte, e come la suddetta scena con la Ferrari (nota a chi ha visto il film come “il pesce gatto”), dove azione e dialogo si alternano armoniosamente in un flirt grottesco tra presente e flashback. Sono momenti rubati al mestiere dei Coen, alla loro causticità e alla loro sensibilità drammatica e surreale. Per il resto, il film zoppica, diventando persino fastidioso quando si concentra sui mielosi Fassbender e Cruz, ma recuperando qualche punto con Diaz e Bardem. Tutto ciò che viene preannunciato puntualmente accade, e Malkina è una dark lady un po’ scontata, ma comunque abbastanza terrificante da affascinare e sedurre lo spettatore con la sua fredda crudeltà. Ma nonostante le tante aspettative e il potenziale, non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole del Texas.

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Davide V.Edoardo P.
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