Più di tre anni sono trascorsi dal precedente Contra, che nel 2010 aveva consacrato i Vampire Weekend nell’indie-stardom mondiale dopo il notevole esordio omonimo di due anni precedente. Tre anni che, tuttavia, non testimoniano sterilità in fatto di idee come qualcuno forse temeva – ok, il sottoscritto…quantomeno per scaramanzia – ma hanno costituito pausa necessaria per assimilare nuovi stimoli e provare a elaborare nuovi percorsi.

Perché se è vero che con questo Modern Vampires of the City i Nostri sono al 100% riconoscibili – merito di una proposta che per alcuni è già archetipo – altrettanto vanno annotati spunti differenti e inediti rispetto al passato.

Non più, quindi, mero afro-pop per collegiali dell’Ivy League, ma un Pop con la P rigorosamente maiuscola e a tutto tondo, in cui non mancano toni più dimessi e financo umbratili, come evidenziato sin dall’iconica copertina del disco che ci troviamo tra le mani. Magnifico scatto dall’alto di una New York in bianco e nero, colta in quel 24 novembre 1966 nella sua giornata più densa di smog, per mano di Neal Boenzi (New York Times).

La cover, peraltro, sancisce la chiusura di una trilogia, come dichiarato dal frontman Ezra Koenig e sottolineato dal consueto artwork ricco di stile. Vengono in mente, osservando la foto di cui sopra, pure i versi di Paul Simon in Bleecker Street (Fog’s rollin’ in off the East River bank…) e l’inizio, in effetti, conferma questo nuovo corso con la tenue ballata Obvious bycicle.  A fungere da contraltare ci pensa però subito Unbelievers, pezzo accompagnato da un organetto à la Monkees e ritmica sostenuta al cui ascolto è impossibile rimanere fermi.

La terza traccia Step risulta una delle più interessanti, caratterizzandosi per un andamento quasi hip-hop – con un piano tuttavia a fare da contrappunto – che riprende Step to my girl dei Souls of Mischief, a sua volta campionamento di un pezzo dei soft-rocker Bread.

Diane Young (singolo con doppio lato A proprio con Step) fa incredibilmente convivere Led Zeppelin e Wham (!), laddove Everlasting arms è la tipica traccia debitrice tanto dei Talking Heads quanto del “padrino” Paul Simon epoca Graceland.

Finger back e Worship You sono ancora pezzi nella – ebbene sì – tradizione vampiresca, mentre Ya hey si colloca sulla scia della sopracitata Step nel cercare nuove strade oltre l’afropop.

A chiudere il terzo capitolo del romanzo VW la scura e sinistra Hudson, dedicata alla scopritore dell’Hudson Bay, e la classicheggiante Young Lion, che conferma ulteriormente l’ecletticità del lavoro.

La primavera tarda ad arrivare e la stagione è più cupa del solito, ma forse è arrivato il momento di togliere le vostre Polo dagli armadi, i Vampire Weekend son tornati.

Scritto da Fabio Plodari.

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