Lucas (Mads Mikkelsen) è maestro in una scuola materna di un piccolo paese della campagna danese, un paese ordinato e dall’aspetto sereno, dove la solidarietà tra gli abitanti si manifesta in chiassose mangiate, riti conviviali e tradizioni di origini ataviche. Grazie alla sua dolcezza e sensibilità, Lucas è molto amato dai bambini. Ma un giorno la piccola Klara (Annika Wedderkopp), figlia del migliore amico di Lucas, Theo (Thomas Bo Larsen), per vendicarsi di un gesto di affetto che non ritiene ricambiato, confida alla direttrice della scuola Grethe (Susse Wold) di aver subito molestie sessuali dal maestro. Questa innocente bugia provoca l’immediata condanna di Lucas da parte di tutta la comunità e dà avvio a una serie di atti di violenza e ostracismi via via più brutali (che troverà il momento di massima deflagrazione nel pestaggio di Lucas all’interno di un supermercato). Nell’ultima parte del film, la tensione si stempera nello scagionamento del protagonista e nella sua riconciliazione con Theo e il resto del paese. Ma non del tutto: la riaccettazione del maestro all’interno della comunità, infatti, non varrà a significare la sua piena assoluzione, come il bellissimo, anticonsolatorio finale lascia intendere.

Questa, in sintesi, la trama de Il sospetto, Jagten, caccia, nel titolo originale, con doppio riferimento alla caccia vera e propria rappresentata all’inizio e alla fine del film, rituale virile per eccellenza, e alla caccia simbolica, fisica e psicologica al contempo, messa in atto dalla collettività nei confronti di Lucas, presunto pedofilo.

Di pedofilia era accusato anche il padre sessantenne protagonista di Festen – Festa in Famiglia, il film del 1998 in cui Vinterberg indagava le atrocità nascoste dietro la facciata convenzionale di una ricca famiglia di magnati dell’acciaio, film trionfatore al Festival di Cannes che aveva rivelato il regista danese come uno degli esponenti più interessanti del movimento Dogma 95. Qui la premessa di Festen viene rovesciata, perché nulla è mai avvenuto realmente. La pedofilia diventa così un semplice strumento attraverso cui far emergere i fantasmi che si agitano dietro ai veli della società borghese, l’isteria che germina e cresce nella psiche collettiva, autoalimentandosi in un vortice di suggestioni e condizionamenti tanto più potenti quanto più scollati dalla realtà fattuale.

Il sospetto è quindi, a tutti gli effetti, un dramma dell’immaginazione. Un dramma che poche parole di una bambina sono sufficienti a innescare, perché “i bambini non mentono mai su certe cose”, come afferma Grethe dando voce a un diffuso luogo comune. E proprio questo luogo comune diventa l’assunto su cui si fonda il paradosso logico che nutre e tiene vivo il fanatismo collettivo al centro della vicenda: quando Klara accusa (mentendo), gli adulti sono pronti a credere che dica la verità; quando Klara cerca di ritrattare (dicendo la verità), gli adulti sono convinti che stia mentendo per vergogna.

L’asciutto rigore naturalistico con cui il film è girato, lontano dagli sperimentalismi d’avanguardia che avevano segnato gli esordi di Vinterberg, e l’elegante fotografia di Charlotte Burns Christensen si fondono efficacemente con una sceneggiatura dall’impianto classico, potente e lineare. Una sceneggiatura che gioca abilmente a rinviare il più possibile l’esplosione della violenza attraverso dialoghi lunghi ed estenuanti scene di attesa. A fare da sfondo al dramma, una natura autunnale colta nella sua indifferente, spesso cupa bellezza.

Eccellenti le performance di tutti gli attori: da Mads Mikkelsen (miglior attore al Festival di Cannes 2012), capace di conferire grande profondità psicologica al personaggio di Lucas (ora dolce, ora stoico, ora agonizzante), a Annika Wedderkopp, che offre una prova di sorprendente naturalezza nei panni di una Klara inconsapevole e vulnerabile, a Thomas Bo Larsen, perfetto nel rappresentare l’incessante oscillazione tra dolore e confusione mentale di Theo.

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