Quest’oggi vi proponiamo la recensione del controverso documentario di Andrej Grjazev Zavtra (Domani, 2012). Forse il nome del film o del regista non vi diranno molto, così come il collettivo artistico russo “Vojna” (che significa “guerra”), oggetto della pellicola, vi è probabilmente sconosciuto. Ha però suscitato un grande clamore persino in Italia il caso delle Pussy Riot, il gruppo punk femminista e politicamente impegnato che lo scorso marzo ha subito una pesante condanna (due anni di reclusione) per un’esibizione non autorizzata contro Putin messa in scena durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca (qui il video di come sono andate le cose). Le Pussy Riot, formatesi nell’agosto del 2011, in realtà nascono proprio in seno a “Vojna”, e, più precisamente, nel distaccamento moscovita. Lo spettatore interessato a queste vicende vorrà presumibilmente vedere Zavtra, un documentario low-cost (si parla di circa 2000 dollari di budget) debuttato nel 2012 alla sessantaduesima edizione della Berlinale.

Grjazev segue le turbolente azioni di alcuni membri della sezione pietroburghese, e in particolar modo di Oleg Vorotnikov (detto Vor, “ladro”), fondatore del collettivo (2006), della compagna Natal’ja Sokol (detta Koza, “capra”), e del loro figlioletto Kasper (che all’epoca dei fatti aveva circa un anno). E così assistiamo ad una serie di atti a volte criminali (i due taccheggiano diversi negozi), a volte puramente provocatori. Queste scene, però, sembrano fungere da introduzione a ciò che segue. Infatti, nel cuore del film troviamo la pianificazione di una delle proteste estemporanee più famose di “Vojna”: il rivoltamento di una volante della polizia russa. La metafora è chiara: “Vojna” sente il bisogno di soverchiare il “regime”.

In maniera simile a quanto avviene per Banksy e la fotografia, la documentazione video di quelle che il collettivo considera opere d’arte metropolitana vuole fissare ciò che per sua natura è fugace. Tuttavia, il documentario non sembra aggiungere molto a queste dimostrazioni anti-sistema, che spesso paiono decisamente sterili. Ricordate il fallo di sessantacinque metri disegnato sul ponte Litejnyj, vicinissimo alla sede dei Servizi di Sicurezza Federali a S. Pietroburgo (FSB), per il quale “Vojna” vinse nel 2011 il premio “Innovacija” del Ministero della Cultura russo? Ecco. Più che documentare le attività del gruppo, nel documentario sembrerebbe predominante la volontà di mostrare i metodi violenti utilizzati dalla polizia per sedare queste “operazioni”: grande importanza è data, infatti, allo scottante tema della privazione della libertà, sviluppato soprattutto nella seconda metà della pellicola. Questi accenti pongono allo spettatore una serie di dilemmi, non solo legati ad un giudizio estetico sul lavoro di Grjazev, ma soprattutto di tipo etico. Il regista non risparmia le inquadrature in primo piano del bambino, costantemente coinvolto negli scontri tra i genitori e le forze dell’ordine, ma anche costretto allo stile di vita non proprio ortodosso adottato dalla coppia.

Zavtra è certamente un film provocatorio che stimola una serie di quesiti sull’effettivo valore artistico delle azioni del collettivo, in relazione alla situazione sociale e politica della Russia di oggi. Se a questo punto vi siete appassionati, forse vorrete sapere che la coppia Vor-Koza, assieme ai loro due figli, è stata avvistata nei mesi scorsi in Italia (leggete qui in russo e qui in italiano). Che abbiano sentito l’esigenza di esportare le loro discutibili proteste anche da noi?

Scritto da Irina Marchesini.

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