Forte delle nove nomination all’Oscar e della statuetta vinta da un’intensa Jennifer Lawrence come miglior attrice protagonista, Il lato positivo (Silver Linings Playbooks) si presenta come ottimo esempio di quel cosiddetto “cinema medio” (per intenderci, inteso in senso positivo) capace di essere allo stesso tempo convenzionale e interessante, di parlare con efficacia e con leggerezza, e senza voler strafare, di temi impegnativi e importanti. Potremmo definirlo, se avessimo voglia di entrare nel labirinto delle definizioni storiografiche e delle conseguenti inevitabili precisazioni, come un esempio che si collega, sotto certi punti di vista, al cinema americano classico, ma preferiamo, per questa volta, rimanere più terra a terra e correre e ballare a fianco dei due protagonisti, interpretati da Bradley Cooper e da Jennifer Lawrence, entrambi bravi nonostante ai punti vinca lei.

Già, perché è soprattutto grazie allo jogging e alle prove per uno spettacolo di danza che Pat e Tiffany entrano in contatto – e noi spettatori con loro – e si avvicinano, aiutandosi reciprocamente nel superare le paure, le ombre lunghe dei ricordi, le ossessioni, e nel ricominciare a guardare insieme verso il futuro. Pat è appena uscito da un ospedale psichiatrico, dove era finito per avere massacrato di botte l’amante della moglie: tornato, il suo obiettivo rimane quello di riconquistare, malgrado l’ordinanza restrittiva che gli impedisce di avvicinarsi a più di 150 metri da lei, la moglie, chiodo fisso delle sue giornate passate in famiglia, con un padre – un Robert De Niro in una delle migliori interpretazioni degli ultimi anni – allibratore un po’ ossessivo-compulsivo fissato con i Philadelphia Eagles (mentre la madre è interpretata da un’ottima Jacki Weaver). Pat, durante una cena da un amico di vecchia data, conosce Tiffany, giovane traumatizzata dalla morte del marito, episodio che l’ha portata a un’angosciata e sofferta generosità sessuale al limite della ninfomania. I due, incontrandosi e beccandosi durante lo jogging tra le strade della città, e decidendo di partecipare ad un concorso di danza, trovano reciprocamente il sostegno per capire e aiutare se stessi e l’altro.

Il regista David O.Russell, dopo l’efficace e apprezzato The Fighter, si conferma ottimo cineasta, capace di rendere ancora interessanti storie e tematiche risapute, senza stancare pur tornando su terreni già calpestati; se infatti la trama è, in fin dei conti, prevedibile, e senza troppe difficoltà si può immaginare come andrà a finire, e se l’unione tra il tono amaro del dramma e quello allegro della commedia non è certo una grande novità nella storia della settima arte, Il lato positivo merita, come accennavamo all’inizio, proprio per come riesce a rendere ancora validi ed efficaci soggetti e modi di raccontarli non nuovi, e per come riesce comunque a favorire empatia e riflessione. Contano le  frequenti finezze di certi momenti, le singole efficaci scene, le figure secondarie, la capacità di non esagerare con il sentimentalismo né di volere a tutti i costi accelerare sul pedale del comico anche quando è superfluo, così come è decisiva la grande maestria che caratterizza sia la sceneggiatura che la scrittura registica.

In fin dei conti, in un certo senso, quello che rende Il lato positivo un film prezioso è proprio la sua dichiarata medietà, l’umiltà con cui si inserisce in tradizioni consolidate – quella della commedia sentimentale – e si confronta con schemi stabiliti, senza certamente appiattirsi nella banalità, ma senza neanche volere cercare un’originalità fine a se stessa che avrebbe portato il rischio da un lato di risultare “ruffiano” e poco sincero, dall’altro di essere meno efficace e, infine, più convenzionale.

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Scritto da Edoardo Peretti.