Harlem Gospel Choir, tour 2012. Tintinnii argentini, cori angelici e persino sinestetiche melodie glitterate: la musica natalizia ha un fascino tutto suo, in grado di conquistare anche i verdi timpani dei più Grinch fra gli ascoltatori. Ma per Natale 2012 i blogger erranti si sono lasciati incantare dall’upgrade della musica delle emozioni, un tripudio di voci 2.0 che fa davvero vibrare le corde dell’anima con la sua potenza canora. Il 22 dicembre scorso il Teatro Duse di Bologna ha ospitato nientemeno che l’Harlem Gospel Choir, giunto direttamente da New York City per il lungo tour 2012, ricchissimo di tappe in Europa e in Asia.

L’ensemble fondato da Allen Bailey nel 1986 rappresenta il coro gospel per antonomasia e riunisce i migliori talenti vocali e strumentali della black church music newyorkese, con un ineguagliabile portfolio di esibizioni per personalità come Nelson Mandela, Barack Obama, Elton John e Paul McCartney. Le performance mozzafiato degli impeccabili cantori e strumentisti sono un inno all’amore, alla gioia e allo stare bene insieme, ma senza velleità programmatiche dettate da schieramenti contingenti. Anche la specificità della dimensione religiosa viene in qualche modo trascesa: si tratta naturalmente di una musica che nasce in ambito cristiano (“gospel” è infatti il termine inglese per “vangelo”), ma nella declinazione dell’Harlem Gospel Choir si mira piuttosto a una sublimazione che abbracci l’intera umanità, nel nome della pace e della fratellanza. Un messaggio sicuramente di stampo religioso, ma messo in musica con una tale spontaneità e una tale voglia di vivere da coinvolgere gli ascoltatori a prescindere dal loro orientamento spirituale.

I concerti della seconda metà del 2012 hanno poi fuso la tradizionale scaletta di spiritual e Christmas carol con un tributo ad un’altra grande voce afroamericana spentasi di recente. Il 2012 Remembering Whitney Houston Tour ha infatti omaggiato la compianta cantante con l’esecuzione dei suoi maggiori successi: un memorial particolarmente gradito perché avviato a mesi di distanza dalla scomparsa della Houston lo scorso 11 febbraio, prendendo le mosse dai pur doverosi tributi “a caldo” (si vedano quelli di Glee e American Idol) e puntando non tanto sull’enfasi del momento, quanto sulla celebrazione sincera, forte di un’esecuzione magistrale attraverso voci sicuramente all’altezza dell’originale.

La formazione esibitasi nell’elegante cornice del Teatro Duse comprende nove dei sessantacinque membri del coro (tre tenori, tre soprani e tre contralti), un tastierista e un percussionista. L’esecuzione si basa sulla formula tipica del gospel, che prevede un dialogo tra la voce solista (ruolo in cui si alternano tutti i cantori, ognuno con ottimi risultati) e il resto del coro. Il costumista e leading MC Tim svolge davvero la funzione di maestro di cerimonie, coinvolgendo il pubblico con il suo innato spirito da entertainer, oltre che con la sua esibizione canora.

Il concerto bolognese si è aperto all’insegna della Houston, con la splendida esecuzione di “How Will I Know”, seguita da numerose altre hit della cantante, tra cui The Greatest Love of All, All The Men I Need, I Will Always Love You e I’m So Emotional. La setlist non ha però deluso chi si aspettava melodie più legate al periodo delle feste: un bel Christmas medley e l’immancabile Oh Happy Day hanno saputo regalare un po’ di magia natalizia al pubblico bolognese. E se le più giovani fra le spettatrici si sono lasciate subito convincere a salire sul palco per creare una coreografia estemporanea, la verve del coro ha saputo pian piano coinvolgere l’intera platea, che nell’ultima parte dello spettacolo si è alzata in piedi per applaudire a tempo e rendere il giusto omaggio a voci davvero preziose nel panorama contemporaneo.

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