Replicare il successo de Il bosco fuori non era facile, per il giovane regista Gabriele Albanesi. Cionondimeno, con un budget più sostanzioso ed un’inalterata, malvagia felicità creativa, l’autore romano, co-prodotto ancora dai Manetti Bros, con Ubaldo Terzani Horror Show ha realizzato un’opera seconda meno baroccheggiante nello splatter, ma altrettanto morbosa dal punto di vista psicologico.

I soggetti del talentuoso, ma acerbo, regista Alessio Rinaldi (Giuseppe Soleri) non convincono il produttore, per il quale “lo splatter non è televisionabile”. La soluzione: scrivere una sceneggiatura a quattro mani con Ubaldo Terzani (Paolo Sassanelli), autore di bestseller dell’orrore, improntati ad un truculento realismo. Mentre divora la bibliografia dello scrittore, Alessio comincia ad avere strani incubi. Raggiunge poi Terzani nell’abitazione di Torino di quest’ultimo, dove presto arriverà la fidanzata di Alessio, Sara (Laura Gigante). Il triangolo è servito, ma non per una love story.

Per quanto il titolo parli di un “horror show”, quello di Ubaldo Terzani è per certi versi un grand guignol mancato, specie per chi  aveva ingordamente goduto dei litri di sangue de Il bosco fuori. Ma gli horror non si misurano con le taniche, e l’ultima fatica di Gabriele Albanesi – che poi, ancora con Sergio Stivaletti al trucco, nemmeno lesina gli effetti – è certamente un film disturbante, che essuda la propria carica malefica dal carisma fascinatorio di Terzani/Sassanelli. Il suo tempio dell’orrore è soprattutto psicologico, affabulatorio: un incantatore di serpenti col rasoio. Una certa suggestione letteraria, tutta d’atmosfera, permea il film, come generando dal vortice di follia di Terzani la peste psichica dei suoi frequentatori: la paranoia e gli incubi di Alessio, il lascivo abbandono di Sara.

Ea propositole allucinazioni di Alessio richiamano quelle del Sutter Cane de Il seme della follia di John Carpenter, se non altro convocabile per la sottigliezza con cui Albanesi punta ad amalgamare il proprio fluido orrorifico, a partire da un’idea che – a detta dello stesso autore – ibrida Misery con La metà oscura. È anche vero, però, che Ubaldo Terzano è il nome dello storico operatore di Mario Bava, e che durante il film s’intravvede da un televisore una scena de Un gatto nel cervello di Lucio Fulci. Il background cinefilo, al solito, non manca – e ricordiamo che Albanesi si è laureato con una tesi sull’evoluzione del cinema horror italiano. Anche in questo caso, tuttavia, la citazione è riassorbita in un’elaborazione personale, che d’altronde il regista aveva già mostrato nei cortometraggi d’inizio anni Duemila (Braccati, L’armadio, Mummie), in cui è prima di tutto l’attenzione all’ambiente a far presagire i segnali dello smarrimento nei labirinti della psiche. L’esplosione rosso sangue, dunque, finisce per sovrapporsi all’effetto nero dei romanzi di Tiziano Sclavi, spesso investiti da una vena onirica e da una macabra ironia che non manca nemmeno nell’opera di Albanesi.

Certo, la sensazione è che il film resti un po’ irrisolto. La resa dei conti appare piuttosto frettolosa, a fronte della macerante attesa della prima parte. Almeno il film evita la tentazione di affidarsi a banali trovate da torture horror, puntando sul Terzani carnefice della mente, su di un andamento più immersivo e sulla trasformazione repentina dell’orrore psicologico nella fisicità della bottega del macellaio.

Con Ubaldo Terzani Horror Show, un lustro dopo Il bosco fuori ed alla vigilia dei lavori per il sequel di quest’ultimo, Kid in the Box, Gabriele Albanesi afferma l’eclettismo della propria inventiva, che riesce a produrre esiti spettacolari non solo con fiumi di sangue, ma anche con vapori sulfurei; non solo reimmergendosi nei meandri della cinematografia horror, ma anche disperdendosi, sia pure con in mano il filo insanguinato di Arianna, nei labirinti drammatici della letteratura di genere.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.

Scritto da Antonio Maiorino.