Bem il mostro umano, di Saburo Sakai e Nobuhide Morikawa. La paura è una delle emozioni più potenti che si possono provare. Paralizza e incatena, ma può anche scatenare i nostri istinti primordiali, belli o brutti che siano. Quando penso alla paura, le prime immagini che mi vengono in mente sono quelle di Bem il mostro umano. Il fascino di questa storia che ribalta gli stereotipi del genere è immutato nel tempo, tanto che recentemente sono stati realizzati un remake animato e un film live-action ispirato alla serie originale.

Sarà perché è in assoluto il primo “horror” che ho visto,  avevo cinque anni quando Retequattro l’ha trasmesso la prima volta, sarà perché la sigla di Nico Fidenco si è scolpita nella mia mente di bambina e non se ne è più andata: «Arriva Bem, nemico del mal/Che in bocca tien mille pugnal/Solo tre dita, due occhi di ghiaccio/sessanta vipere sopra ogni braccio“. Sarà come sarà, quando penso all’horror animato, penso a Yokai ningen Bern (Bem).

Nella storia dell’animazione nipponica, il genere horror è quello che, più di ogni altro, si è stemperato in altri generi, soprattutto in quello umoristico. Dagli anni Novanta in poi, in particolare, gli anime horror hanno protagonisti che non si prendono troppo sul serio e vengono spesso coinvolti in situazioni al limite del ridicolo. E’ il caso, ad esempio, di Master Mosquiton che gioca con la solennità del genere horror più classico, le storie di vampiri, svuotandolo di credibilità dall’interno. In casi come Inuyasha e simili, l’horror si avvicina invece al genere avventuroso, e la presenza di mostri e demoni si rivela solo un espediente narrativo come un altro per rendere le battaglie dei protagonisti più interessanti e cruente.

La storia di Bem il mostro umano, al contrario, riprende ed esibisce con orgoglio il carattere melodrammatico e il compiaciuto gusto per il grottesco che caratterizza i classici B-movie di genere horror. Esteticamente, dunque, è un vero horror animato, non a caso in ogni puntata ritroviamo i personaggi classici del genere: dal vampiro al licantropo, dalle streghe agli zombie, oltre a un’infinita serie di creature legate alla tradizione orrorifica giapponese.

La vera svolta narrativa, rispetto al genere classico, sta nel fatto che anche i protagonisti “positivi” della storia sono creature demoniache. In questo senso, Bem è un prodotto ibrido, proprio come le creature che lo popolano. Bem, la guida spirituale del gruppo, è apparentemente un comune uomo di mezza età, ma con occhi gialli e senza pupille, Bera una giovane donna che ricorda nelle fattezze una vampira, e Bero un bambino dai capelli blu e le orecchie a punta. Tutti hanno mani con solo tre dita, ulteriore segno della loro natura “mostruosa”. L’apparenza, però, è in questo caso più che mai ingannevole: Bem, Bera e Bero, infatti, rivelano un animo puro e votato al bene. Le loro avventure tra demoni e fantasmi iniziano sempre spinte dall’impulso di aiutare degli esseri umani in difesi, solitamente bambini che Bero incontra sulla sua strada e con cui stringe improbabili amicizie.

Ecco allora che in Bem il mostro umano i tradizionali confini di “bene” e “male”, “buono” e “cattivo” risultano inevitabilmente labili e confusi e spesso si viene a scoprire che il vero mostro non è l’essere dall’aspetto esteriore “diverso” o “pauroso”, ma l’umano che viene corrotto dalla sete di potere o si rivela incapace di amare perché troppo assorbito da se stesso. Non a caso il finale tragico della serie è frutto della grettezza delle persone “normali” che, guidate dal pregiudizio costruito sulla paura del “diverso”, arriveranno a compiere l’azione più mostruosa.

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