Macbeth horror suite di Carmelo Bene fu realizzato per la televisione nel 1997, avendo come propri antenati le versioni teatrali della stessa opera, che si erano susseguite dal 1983.

Oltre a Bene, a fare i conti in scena con la macchina trita-linguaggio dell’artista salentino c’è anche l’attrice Silvia Pasello; i due sono immersi in uno spazio buio e scuro, con al centro della scena un letto inizialmente nero, e ai lati di questo due armadi, altrettanto neri, le cui porte si possono spalancare all’improvviso (in alcuni momenti dello spettacolo, ad esempio, dalle ante degli armadi si possono intravedere lampi di luce e teli bianchi mossi dal vento, come se si trattasse della fuoriuscita di una tempesta). L’atmosfera è molto intensa e lugubre, e in mezzo a questa oscurità si stagliano i due attori vestiti di bianco: di grande effetto è il lavoro attoriale con le lenzuola macchiate di rosso sangue, in rapporto continuo con l’armatura acuminata e le macchie sulla benda indossate da Bene, con il tutto che va a ricreare in maniera particolare il clima cupo e malato della tragedia shakespeariana.

In questo Macbeth il ruolo di protagonista assoluto è ricoperto dal lavoro beniano sulla voce, con le sue molteplici variazioni, così come l’amplificazione e l’utilizzo del playback: tutti elementi che costruiscono, accompagnati alle musiche, un insieme sonoro complesso e affascinante. La voce registrata mandata in asincrono provoca, infatti, nello spettatore un effetto straniante per l’incongruenza con ciò che si vede nell’inquadratura in quel momento, ma, ancora meglio, opera una rottura col corpo e il suo movimento, disumanizzandolo. Il suono non è più a sostegno dell’immagine e della narrazione filmica, ma ricostruisce piuttosto il significante della parola e trascina con sé un montaggio che si snoda in maniera secca tra campi lunghi, primi piani e dettagli. Il risultato visivo va quindi a sostenere ed enfatizzare la frantumazione della narrazione, il gesto sospeso e lo svuotamento del significato.

In sostanza, in Macbeth horror suite si può vedere la macchina attoriale CB nella sua piena maturità: tutto è disgregato e rivomitato fuori, in uno spazio in cui i sensi dello spettatore – continuamente bersagliati e ai quali non resta che arrendersi alla visione, abbandonandosi nell’oblio dei significati – diventano l’interlocutore diretto dell’opera. L’operazione chirurgica, a cui tanto Artaud aspirava, è compiuta, e di conseguenza se ne consiglia la visione limitatamente a una bella giornata di sole.

Il prossimo mese invece ci attende un appuntamento con un più solare Pinocchio.

Scritto da Anna Silvestrini.

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