Possiamo partire da molto lontano per parlare di Ratatouille di Brad Bird e Jan Pinkava, da un universo cinematografico completamente diverso: possiamo partire da quello che Ugo Tognazzi, cuoco sperimentatore e grande buongustaio oltre che l’attore e regista che tutti conosciamo, ha scritto nella sua autobiografia culinaria: “In questo mio rapporto d’amore con la cucina io sono il creatore della scena e il suo esecutore, il demiurgo che trasforma le inerti parole di una ricetta in una saporita e colorita realtà, armonizzando gli ingredienti e percependo, anche emotivamente il giusto punto di cottura“.

Queste parole sono perfette per introdurre Remy, il piccolo topo protagonista di Ratatouille, dall’olfatto e dal gusto particolarmente sviluppati, e dalla passione, poco consona ad un branco di roditori, della cucina e della buona tavola. Suo sogno è diventare cuoco; suo modello è lo chef Auguste Gusteau, gestore di un rinomato ristorante e autore del libro ‘Chiunque può cucinare‘. Gusteau è morto di dispiacere dopo che una stroncatura del severo e autoritario critico culinario Anton Ego ha fatto perdere una stella al suo locale, ma il suo spirito accompagna, consiglia e sostiene il topolino nel rincorrere il suo sogno. Remy finisce quindi nelle cucine del vecchio ristorante di August, ora gestite dall’avido Skinner, il quale utilizza l’icona del suo predecessore per arricchirsi lanciando sul mercato linee di cibi preconfezionati. Tra pentole e fornelli, l’animaletto incontra il giovane sguattero goffo e imbranato Linguini. Uno diventa il braccio dell’altro: Remy, infatti, nascosto nel cappello, tirandogli i capelli come un burattinaio fa con i fili delle marionette, guida le azioni del giovane, trasformandolo da tuttofare a un sempre più importante chef. La sfida finale è il ritorno di Ego, pronto a stroncare di nuovo con la sua inappellabile penna il ristorante,  la cui sorte alla fine dipende dalla ratatouille che da il titolo al film.

L’ottavo lungometraggio della premiata ditta fondata da John Lasseter, oltre a portare sulla bacheca della casa di produzione il terzo premio Oscar (quell’anno conteso ad un altro grande film d’animazione come Persepolis), è l’ennesima conferma che la Pixar è stata una delle novità più importanti e meritevoli degli ultimi venti anni della storia del cinema, nonchè forse la più degna e costante erede del miglior cinema classico americano, se lo intendiamo nel senso in cui il rispetto per i canoni e la connotazione commerciale non facevano a botte, ma coesistevano alla perfezione con la grande perizia narrativa, lo spazio per elementi personali e una precisa visione del mondo e del cinema.

Nel film di Bird e Pinkava la maestria tecnica e grafica creano un’atmosfera affascinante quasi in ogni fotogramma, soprattutto grazie ai raffinatissimi livelli a cui arriva la riproduzione dei giochi luce/ombra e delle sfumature dei colori e alla stratificazione visiva di molte scene, oltre alla riproduzione di una Parigi da sogno, ingenua ma non fastidiosa.

Inoltre, troviamo una grande capacità affabulatoria, che accontenta tutti i tipi di pubblico: ci sono tutti gli aspetti più ‘commerciali’ e disneyani, quali la morale esposta, la catarsi che segue una difficoltà o uno scontro, la narrazione ad un primo livello di visione semplice e lineare. Dall’altro lato, una stratificazione anche tematica a disposizione della visione adulta più vivace,  gli echi dalla storia del cinema costanti ma mai esibiti in citazioni troppo palesi (alcuni inseguimenti ricordano, per esempio, i film d’azione, e non a caso Bird dirigerà il quarto Mission: Impossible), la comicità e il riferimento, vuoi visivo vuoi narrativo, ironico che salvano il film dalla caduta nella retorica e nel sentimentalismo, permettendogli anche di giocare con gli stereotipi messi in scena.

Ratatouille non è ancora il capolavoro massimo della Pixar, che arriverà con Wall-e e soprattutto con Up, ma per i motivi sinteticamente esposti è un risultato altissimo, quanto basta per fare entrare il roditore protagonista e i suoi comprimari nella mitologia del cinema. Ratatouille e la Pixar sono un po’ come la buona cucina, come l’abbinamento sprimentato da Remy ad inizio film: possono aprirti porte sconosciute e lasciarti soddisfatto come poche altre cose al mondo.

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Chiara C.Davide V.Leonardo L.
8+78

Scritto da Edoardo Peretti.