Fare il resoconto del Festival di Cannes 2012 è impresa al limite dell’impossibile. Le decine di film passati nelle cinque sezioni, la miriade di star che hanno calcato la croisette, i temi e gli approfondimenti nati dalla visione delle pellicole, le feste, il colore, la quotidianità che rende speciale la manifestazione, non sarebbero condensabili nemmeno in venti o trenta post. Per evitare un lungo e noioso elenco di nomi e titoli, soluzione più ovvia e banale al problema, lasciamo allora spazio solo ai ricordi più nitidi, alle proiezioni più belle, alle sorprese (poche) e alle delusioni (cocenti).

La prima delusione ha le immagini ancora fresche e recenti di Cosmopolis. La pellicola di David Cronemberg, tutta ambientata all’interno di una limousine, non riesce nell’arduo compito di liberare il racconto dalla stretta location in cui è confinato. Dal padre a figlio anche Antiviral, di Brandon Cronenberg, non entrerà negli annali della settima arte, perso nel vano tentino di riprendere (se non copiare) il geniale genitore. Opaco Oltre le colline di Cristian Mungiu, anche se apprezzatissimo dalla critica internazionale, decisamente fuori posto Lawless, divertente film di genere non adatto alla competizione, al limite dell’irritate Post tenebras lux di Carlos Reygadas (che si è però guadagnato un’incomprensibile distribuzione italiana). Sotto tono, quasi in blocco le sezioni parallele, con il primato negativo per Un Certain regard, storico bacino di cinema di qualità quest’anno decisamente in secca.

Ma non sono solo negativi i ricordi di questo festival. Ken Loach e Wes Anderson, con due commedie ben scritte ed interpretate, non deludono. Così come non delude Matteo Garrone. Reality non è certo la miglior prova del regista ma, oltre ai quindici minuti iniziali di grande cinema, ha il pregio di restituire alla sala un autore che sembrava bloccato dal successo del sui ultimo Gomorra. Discusso, ma sicuramente interessante, è l’adattamento del romanzo di culto di Jack Kerouac, On the road. La pellicola diretta da Walter Salles riesce infatti a restituire, almeno in parte, le magiche atmosfere del libro. Fra le sorprese, degna di nota è l’opera prima dell’americano Adam Leon, Gimme the loot. Figlio delle esperienze di cinema indie americano e delle nouvelle vague europee il regista metta in scena un racconto di strada newyorchese, fatto di fitti dialoghi e scene apparentemente senza senso, ma dal grande impatto.

Dei molti volti passati sulla montee de marches, più che un Brad Pitt dalla folta chioma o la coppia di giovani ex vampiri Robert Pattinson/Kristen Stewart, ricordiamo con emozione Bernardo Bertolucci. Commosso lui stesso per l’ovazione tributatagli dalla sala Grand Lumiérè il ritorno di uno dei maestri del nostro cinema è un evento da festeggiare. Io e te non ha la profondità né il sottotesto politico di The Dreamers ma in una festival così scarno di idee e qualità resta una delle pellicole migliori viste in queste settimane.

Un festival insomma tanto fiacco da rendere difficile anche i pronostici per i possibili vincitori. Michael Haneke, il cui Amour ha riscosso unanime consenso, pare l’ovvio favorito, seguito (proprio perché apprezzato dalla critica) da Oltre le colline di Christian Mungiu. Fra gli outsider, oltre al nostro Garrone (molto difficile la Palma d’oro, possibile un premio collaterale), Holy Motors, visionaria e allegorica pellicola di Leos Carax, sembra la più papabile sorpresa. Al nostro Nanni Moretti e alla sua giuria l’ardua sentenza.

Scritto da Giampiero Francesca.

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