Arriva l’autunno, e con lui i telefilm. Per noi amanti della serialità, è il momento irrinunciabile dell’arrivo delle nuove stagioni di serie vecchie e, soprattutto, delle decine di pilot di serie nuove. Secondo la ferrea legge del dollaro, alcune di queste trionferanno, altre arrancheranno, altre ancora non giungeranno a fine anno, e ad ogni novità noi spereremo di trovarci di fronte il nuovo Breaking Bad o il nuovo Mad Men. Come si vedrà di seguito, raramente va così di lusso; ecco il punto della situazione pilot 2012/2013 secondo i Blogger Erranti.

Arrow (THE CW)

Il popolare giustiziere della DC Comics, Green Arrow, è il protagonista di una serie palesemente ispirata al Batman Nolaniano (Stephen Amell ci ricorda che “To do this, I must become someone else; I must become something else.”), di cui però si apprezzano gli sforzi di Berlanti, Guggenheim e Kreisberg di produrre uno show ben lontano dalla fastidiosa moralità (e inverosimiglianza) di Smallville. Oliver Queen è infatti un anti-eroe con una lista di cattivoni da eliminare, il quale non si fa troppi problemi a perseguitare e uccidere i suoi avversari. Tralasciando gli infelici intrecci teen (necessari per il target adolescenziale del network), il protagonista funziona, il mistero è sufficientemente interessante e le sequenze d’azione sono ben girate. E per i pessimi standard della rete ci basta.

Perché sì: l’anti-eroe borderline piace, anche se incappucciato e truccato da coglione.
Perché no: storyline per bimbeminkia, triangoli amorosi e adolescenti ribelli. No, grazie.

Beauty & The Beast (THE CW)

Vagamente ispirata all’omonima serie CBS di fine anni ’80, Beauty and the Beast dà forma alla peggiore ibridazione immaginabile: il procedurale twilightiano. Come la serie della Meyer, BatB vede un’attrice cagna e un attore cane(lupo) annusarsi vicendevolmente le terga per un numero spropositato (immagino) di puntate prima di arrivare all’agognato coito. A questo aggiunge suggestioni di eroismi post 11 settembre (la bestia – Jay Ryan è ex-medico arruolatosi per difendere la patria dall’islamico fellone) e scialbi casi investigativi (l’intricato mistero del pilot lo potrebbe risolvere anche un ubriaco legato e bendato).

Perché sì: per riscoprire tendenze latenti da fanfictionists morbosi.
Perché no: nessuno osi sfidare Kristen Stewart nel campo in cui giganteggia – quello delle sciacquette monoespressione con la patatina in fiamme.

Ben and Kate (FOX)

Kate è una ragazza madre che ha perso fiducia in se stessa e negli uomini; è legatissima a Ben, il fratello maggiore irresponsabile e combinaguai, che di quando in quando va a farle visita senza avvertire. Stavolta però, dopo l’ennesima idea balzana e una delusione amorosa di Kate, Ben decide di restare per aiutarla con la piccola, adorabile Maddie.

Perché sì: Dakota Johnson (progenie di Don Johnson e Melanie Griffith) e Nat Fixon sono affiatati, e certe situazioni sono abbastanza strambe da essere “quasi nuove” nel panorama della comicità televisiva.
Perché no: a volte sembra ricercare forzatamente la circostanza divertente e adorabile a tutti i costi; e il passo da tenero a insopportabile è dannatamente breve.

Elementary (CBS)

Sherlock Holmes si trasferisce nella New York di oggi insieme a Lucy Liu, Joan Watson (addio tensione cripto-gay). La CBS cerca l’adattamento di Sherlock: Steven Moffat non ci sta. Ed ecco che le avventure di Sherlock Holmes si trasformano in un procedurale, formato “crime of the week”, più simile a The Mentalist che ai romanzi di Arthur Conan Doyle. La struttura si riduce a “introduzione del caso- protagonista strambo, ma dalle deduzioni brillanti-rivelazione dell’assassino attraverso l’inganno”. Jonny Lee Miller è bravo (su Lucy Liu non ci pronunciamo), i casi si lasciano guardare e la rivisitazione del protagonista tossicodipendente è interessante, ma sa di già visto. E, soprattutto, di Sherlock Holmes rimane solo il nome.

Perché sì: il bel faccino di Jonny Lee Miller, credibile nonostante tutto.
Perché no: Sherlock di Moffat è l’unico Holmes possibile.

Go On (NBC)

L’elaborazione del lutto in salsa comedy: Matthew Perry è Ryan King, famoso radiocronista sportivo da poco vedovo, obbligato dal suo capo a seguire una terapia di gruppo: casi umani di vario tipo, con cui Ryan vuole spartire il meno possibile, per i primi cinque minuti. Diventeranno ovviamente grandi amici che a modo loro lo aiuteranno davvero a superare i momenti bui.

Perché sì: Matthew Perry innanzitutto, e promette bene il gruppo di buffi personaggi che gli ruotano attorno.
Perché no: il gruppo di buffi personaggi potrebbe rivelarsi una carrellata di macchiette, e c’è il rischio che la dinamica incomprensioni/volemosebbene diventi ripetitiva.

Last Resort (ABC)

Un sottomarino nucleare dell’esercito si ribella a un ordine diretto del governo USA, scatenando il pandemonio. Un presidente guerrafondaio dal bombardamento facile, un’isola lostiana che nasconde dei segreti, un soldato buono con moglie ipercombattiva, un genio della meccanica militare che oltre a essere donna fa pure molto sesso, dei SEAL ambigui e letali, un capitano che più carismatico e folle non si può (un perfetto Andre Braugher). Da Shawn Ryan (The Shield) il miglior esordio drama di quest’anno.

Perché sì: uno dei pilot più intensi degli ultimi anni, un ritmo avvincente e grandissimi interpreti da scoprire.
Perché no: per non affezionarsi inutilmente, visto che è già stata cancellata.

The Mindy Project (FOX)

Ben scritta e interpretata da Mindy Kaling (The Office), The Mindy Project narra la storia di una donna che sogna il principe azzurro dei film hollywoodiani. Il contrasto tra melò cinematografico (la mente della protagonista) e realtà, conferisce alla serie una vena malinconia che la discosta da una banale copia di Bridget Jones. E poi fa ridere.

Perché sì: la preghiera con le caratteristiche del principe azzurro è convincente: “the wealth of Mayor Bloomberg, the personality of Jon Stewart, the face of Michael Fassbender… the penis of Michael Fassbender”.
Perché no: dedicato esclusivamente a un pubblico femminile.

The New Normal (NBC)

Ryan Murphy volge al maschile il tema delle coppie omosessuali che scelgono di avere figli, già elaborato da I Ragazzi Stanno Bene, e lo dilata trasformandolo in una sit-com patinata, ma tutto sommato discreta. Bryan e David (sottilissima allusione a Murphy e al marito), rispettivamente medico e produttore televisivo, decidono di completare la loro bella vita losangelina con un figlio, dopo l’epifania dell’esuberante e fashionista Bryan davanti a un vestitino mignon. Le loro vite si intrecciano così con quella di Goldie, cameriera neo-separata e al verde con nonna omofobica che orchestra la sua esistenza e figlia intellettualoide di nove anni a carico. Una volta accettato che lo show non ha pretese di realismo e sfrutta volutamente rappresentazioni che sono stereotipi di se stesse per calcare la mano sulla “nuova normalità” (evidenti i calchi da Glee nel “kurtiano” Brian e nel “karofskiano” David, da American Horror Story nella nonna Jane e da Little Miss Sunshine nella piccola Shania), si riesce comunque ad apprezzare lo stile narrativo e a godersi la performance del cast, in primis della matrona repubblicana Ellen Barkin.

Perché sì: perché in questi tempi di crisi qualitativa qualcosa che “si lascia guardare” è già una rarità.
Perché no: perché in fondo tematiche e personaggi uguali si sono già “lasciati guardare” in mille altre produzioni (di Murphy e non)

Revolution (NBC)

Scritto da Erik Kripke e prodotto da J.J. Abrams, narra di un futuro prossimo in cui, a seguito di un blackout totale e permanente, l’umanità sprofonda in uno stato tra il selvaggio e il protofeudale, governata dalle milizie del misterioso Generale Monroe. In questo scenario Charlie Matheson, figlia dell’uomo-che-sapeva-troppo-Ben Matheson, parte in cerca del fratello Danny-sono-uguale-a-Justin-Bieber, sequestrato dai miliziani.

Perché sì: Perché si spera che Kripke si riprenda sul lungo termine e dia una svolta significativa alla serie. Alla peggio perché ci si può concentrare sul solo Esposito (che qui interpreta un capitano della milizia) e convincersi di star guardando qualcosa d’altro.
Perché no: costruito su suggestioni e meccanismi mutuati da Lost e, prima ancora, da decenni di cinema post-apocalittico ha come cifre caratteristiche l’assoluta insignificanza della protagonista e il fatto che, sostanzialmente, non succede quasi mai niente di interessante.

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The New Normal (NBC)

Ryan Murphy volge al maschile il tema delle coppie omosessuali che scelgono di avere figli già elaborato da I Ragazzi Stanno Bene e lo dilata fino a trasformarlo in una sit-com patinata ma tutto sommato discreta. Brian e David, rispettivamente medico e produttore televisivo, decidono di completare la loro bella vita losangelina con un figlio, dopo che l’esuberante Brian ha una sorta epifania al parco giochi. Le loro vite si intrecciano così con quella di Goldie, cameriera al verde con madre omofobica che orchestra la sua esistenza e con figlia intellettualoide di nove anni a carico. Una volta accettato che lo show non ha pretese di realismo e abbraccia volutamente rappresentazioni che sono stereotipi di se stesse (evidenti i calchi da Glee nel fashionista Brian e da Little Miss Sunshine nella piccola Shania), si riesce comunque ad apprezzare lo stile che rompe la quarta parete e a godersi le performance del cast, in primis della matrona conservatrice Ellen Barkin.

Perché sì: perché in questi tempi di crisi qualitativa qualcosa che “si lascia guardare” è già raro
Perché no: perché in fondo tematiche e personaggi uguali si son già “lasciati guardare” in mille altre produzioni (di Murphy e non)