Hunger Games è il nuovo film di Gary Ross (Pleasantville), tratto dal primo romanzo della fortunata trilogia di Suzanne Collins, uscito in Italia nel 2009. Un cast di tutto rispetto, una storia interessante e un bombardamento mediatico degno dei migliori blockbuster ne hanno accompagnato l’uscita, contribuendo a crearvi intorno una certa attesa.

In un futuro distopico, da qualche parte in Nord America, sorge il regime di Panem. L’oppressivo governo centrale seleziona ogni anno un gruppo di giovani che dovranno partecipare agli Hunger Games, una battaglia all’ultimo sangue seguita con entusiasmo dal pubblico in una sorta di macabro reality show. La giovane Katniss Everdeen vivrà, suo malgrado, questa spiacevole avventura, quando deciderà di prendere il posto della sorella più piccola, nella nuova edizione dei giochi.

Un romanzo forte permette al film di poggiare su una solida sceneggiatura, che si concede poche licenze, ma pecca forse di troppa semplicità. La complessità di certe sequenze narrative è resa a tratti in modo sbrigativo, e il ritmo serrato può generare un certo straniamento. Il grande numero di personaggi, quasi tutti ben caratterizzati, funziona sulla carta stampata, ma rende difficile il coinvolgimento nei primi minuti della trasposizione. I giovani protagonisti, inoltre, non convincono fino in fondo: Jennifer Lawrence (X-Men – L’inizio) è una Katniss fiacca in più occasioni e Josh Hutcherson (Zathura) sembra avere un repertorio espressivo molto limitato.

Una moltitudine di comprimari decisamente azzeccati riesce, però, a supplire alla loro inevitabile mancanza di carisma: intorno ai due ragazzi ruota, infatti, un circo di personaggi, che vanno dalla variopinta Elizabeth Banks (Spider-Man) al cotonato Toby Jones (Captain America), vere e proprie macchiette incredibilmente convincenti. Menzioni speciali meritano poi Woody Harrelson (Natural Born Killers, Defendor), che dà corpo a un Haymitch cupo e introverso, ma dal cuore buono, e Stanley Tucci (Il diavolo veste Prada), che con sorrisi a tutta dentiera costruisce un Caesar Flickerman memorabile e luminoso. Rimane in secondo piano Donald Sutherland (Orgoglio e pregiudizio), nei panni del temibile presidente Snow che, tuttavia, nelle brevi sequenze a lui dedicate, dimostra una certa predisposizione al ruolo.

Una regia virtuosa e sempre in movimento è il vero punto forte di Hunger Games: primissimi piani, movimenti concitati e soggettive contribuiscono a creare la tensione necessaria alla buona riuscita del film, e a riproporre fedelmente le frenetiche pagine del romanzo. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a uno dei tanti schermi di Panem, spettatori inermi e divertiti di un macabro show di cui non comprendiamo fino in fondo il dramma. La critica forte della mercificazione del dolore e della spettacolarizzazione televisiva appare, però, pretestuosa, ed è meno efficace che sulla carta stampata, in quanto soffocata dall’enorme mole di eventi narrati.

Il risultato è, dunque, un film d’azione che vorrebbe echeggiare i toni cupi di 1984 e del filone distopico in genere, ma che non rischia troppo, per non perdere l’attenzione del pubblico adolescente a cui è principalmente diretto, e che non osa uscire da sentieri noti, in nome di un guadagno sicuro.


Scritto da Leonardo Ligustri.
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