Bulletproof Man, film del 2011 diretto da Jonathan Hensleigh e interpretato da Ray Stevenson, è la storia vera del gangster Danny Greene, figura di spicco del crimine organizzato nella Cleveland degli anni Sessanta e Settanta. Unico irlandese in un territorio dominato dalla mafia italiana, Danny fa carriera nel sindacato del porto, stringe alleanze con altri boss e diventa informatore per la polizia, ma soprattutto sfugge a numerosissimi tentativi di omicidio…

Jonathan Hensleigh, prolifico sceneggiatore di film d’azione, passa dietro alla macchina da presa – per la seconda volta, dopo il cinecomic The Punisher – e dirige un gangster-movie di stampo classico, incentrato su un personaggio realmente esistito, quel Danny Greene che fu tra i protagonisti della sanguinosa guerra fra gang che mise a ferro e fuoco Cleveland per almeno due decenni.

Trasponendo sullo schermo il libro di Rick Porello Kill The Irishman (che è anche il titolo originale del film), Hensleigh dimostra evidenti difficoltà: se, da un lato, risulta apprezzabile la scelta di mantenere un profilo basso, mostrando il mondo criminale senza un minimo di glamour, e di contenere la violenza lasciando fuori campo gli omicidi più truculenti, dall’altro la messinscena risente troppo del basso budget a disposizione, con le scene di esplosione, tra l’altro numerosissime, girate con scarsa perizia tecnica, a livello di un telefilm degli anni Novanta. Ma è nella povertà di trovate visive, più che di mezzi, che la regia tradisce i propri limiti, e per quanto l’idea di inserire sequenze di repertorio dell’epoca, con interviste a gente comune sul personaggio di Greene, sia abbastanza originale, non è sufficiente a mettere in scena un ritratto approfondito di quegli anni e di quell’ambiente, e a nobilitare un’opera esageratamente dimessa.

Non che sul piano narrativo il film funzioni meglio: la vicenda ricopre, infatti, l’intera biografia del protagonista narrandone le peripezie in maniera puntuale, ma fin troppo cronachistica, molto poco coinvolgente, e il ritratto che ne emerge, quello del guerriero celtico ambizioso e spietato, cinico ma non privo di umanità, è piuttosto sfocato. Lo stesso vale per gli altri personaggi, poco caratterizzati e mediamente unidimensionali. E se la trama di rapporti che si intesse fra criminali presenta qualche spunto interessante, i legami familiari di Danny risultano appena abbozzati e all’insegna della totale superficialità.

Resta la buona prova dell’attore protagonista, il sobrio e misurato Ray Stevenson, ben supportato da un Vincent D’Onofrio come sempre convincente nel ritratto di John Nardi, mafioso alleato di Greene, e da solidi specialisti del genere, fra i quali Tony Lo Bianco e Paul Sorvino nella parte, rispettivamente, dei boss Jack Licavoli e Tony Salerno, e l’inquietante Robert Davi in quella dello spietato killer Ferritto. Prettamente alimentari, invece, le partecipazioni di un Christopher Walken visibilmente svogliato nel ruolo del gangster ebreo Shondor Birns e del sempre più gonfio Val Kilmer in quello di un poliziotto amico d’infanzia di Danny, narratore della vicenda.

Notevole, infine, la colonna sonora, che accosta brani dell’epoca, di genere soprattutto soul, a una partitura originale dall’eco celtica composta da Patrick Cassidy.

Accolto positivamente dalla critica americana, Bulletproof Man è uscito in Italia direttamente in DVD, con un anno di ritardo, e ulteriormente rovinato da un doppiaggio scadente e da un titolo, scelto dai distributori, di rara stupidità, che fa pensare a un blockbuster d’azione.

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