Robin Newell dirige un documentario crudo e sconvolgente che ci porta dietro le quinte del programma “Interviews Before Execution”, campione di ascolti in Cina. A metà tra un talk show e un reality assolutamente vero, il programma prevede che la bella giornalista Din Yu intervisti di volta in volta un condannato a morte diverso che sta per andare al patibolo, concedendogli l’ultima intervista e facendogli registrare il videomessaggio da recapitare postumo ai suoi parenti.

“Dead Men Talking” ci trasporta nella vita e nel lavoro di Din Yu. C’è la sua famiglia, il suo mondo ovattato e comfortevole e poi si cono loro, i condannati a morte: il piatto forte del format televisivo. Il contrasto è stridente e suscita fin da subito un senso profondo di inquietudine nello spettatore.

I condannati a morte sono perlopiù persone giovani: la donna che ha bruciato vivo suo marito dopo aver subito violenza, il carnefice dei genitori della sua fidanzata, un omosessuale che si è macchiato di un assassinio per “una questione di sesso e soldi” e ancora l’aguzzino di una bambina innocente. Da brava professionista della TV e accalappiatrice di ascolti, Din Yu appare sorprendentemente a suo agio nel porre le sue domande al “Dead Man Talking” di turno. “Non ti penti di quello che hai fatto?” e ancora “Hai idea di come si sentano adesso i parenti dell’uomo che hai bruciato vivo“”, fino a spingersi oltre. Fino a sentenziare tra le lacrime: “Tutti dovrebbero odiarti! Era solo una bambina!“, per la gioia degli ascoltatori giustizialisti in ascolto.

Il documentario è forte, e non poteva essere altrimenti, visto l’argomento delicatissimo che porta sullo schermo. Quello che, tuttavia, scuote di più la sensibilità e la coscienza dello spettatore è proprio l’alternanza continua tra le parole di Din Yu e le risposte stringate dei “colpevoli”. E’ la spettacolarizzazione estrema della disperazione umana: il senso di colpa incolmabile che si fa salotto per signor pettegole in abito da cerimonia. E’ come se la giornalista ci provasse gusto  a stuzzicare persone già morte dentro e questo non può che farci riflettere su ciò che noi italiani chiamiamo trash ma che, per fortuna, non arriva ancora a questi livelli di crudele cinismo.

Gli elementi del talk show ci sono tutti, ma il fatto che Din Yu parli a dei condannati veri crea un effetto a dir poco disturbante. “Dead Men Talking” è un’ora di amarissima riflessione e di sopportazione, ma va visto assolutamente perché in un epoca dove tutto è spettacolo, è giusto che perlomeno la morte, quella vera, quella dell’anima, resti un argomento estraneo allo showbusiness.

Scritto da Giuseppe Piacente.

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