Accantonate le influenze stoner del precedente Humbug, le “Scimmie Artiche” rimangono con questo Suck it and see a crogiolarsi malinconiche al sole della California, richiamando per l’occasione  il fidato James Ford, già produttore dei primi due album.

Dopo la parentesi con Josh Homme – qui presente ai cori di “All my own stunts” – questo nuovo lavoro segna peraltro un ulteriore passo in avanti nella carriera del gruppo di Sheffield, proiettato oltre i semplici, ma pur sempre efficaci, inni generazionali degli esordi.

Segno di una evidente maturità compositiva raggiunta ormai dal frontman Alex Turner che, dopo il duetto con il sodale Miles Kane a nome Last Shadow Puppets e l’e.p. colonna sonora del film Submarine, pare aver intrapreso con decisione la strada di un pop languido ed elegante che vede pur sempre il santino di Scott Walker sul comodino del giovine.

Ciò che resta più impresso del disco, infatti sono le sue ballate agrodolci e un filo sardoniche, mai retoriche o banali, frutto di un autore cui non interessano trovate di marketing per attirare nuovamente i riflettori su di sé e sui propri compari. Come dire, dalle sparate iperboliche buone per la copertina di NME a un’urgenza creativa adulta.

La quale porta con sé brani  notevoli come Love is a laserquest e la smithsiana That’s where you’re wrong, veri e propri colpi al cuore in grado di convincere anche chi all’inizio credeva che gli Arctic Monkeys fossero la classica meteora destinata a scomparire in breve tempo.

Da segnalare pure l’energica She’s Thunderstorms, ipotetico ponte di collegamento con certo brit sound dei primi anni novanta, laddove il primo singolo Brick by brick cerca invece, in maniera forse un poco ruffiana, di tenere sintonizzato chi, sulle note di una “Balaclava” o di una “When the sun goes down”, si è fatto la barba per la prima volta.

E’ pero su melodici quadretti come Reckless Serenade che ritorniamo volentieri, o ancora su una Piledriver Waltz che non smette di piacerci, pur recuperata con diverso arrangiamento dall’e.p. solitario di cui si diceva.

Se ai tempi dell’esordio la scommessa era che la tal donzella facesse la sua porca figura sul dancefloor, ora possiamo puntare con convinzione le nostre fiches sull’influenza che avranno negli anni a venire gli Arctic Monkeys sul panorama indie e non solo.

Se poi un abile fenomeno da baraccone come Lady Gaga risulta scalzata dal vertice delle classifiche in men che non si dica capirete che la cosa non appare così improbabile.

Scritto da Fabio Plodari.

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