“Film Rosso” è il capitolo conclusivo della trilogia di Krzysztof Kieslowski, ispirata ai tre colori della bandiera francese e ai tre pilastri della sua civiltà. Forse, a livello visivo, il più emozionante ed evocativo (splendida la fotografia di Piotr Sobocinski), complesso e toccante come ogni opera del regista polacco. A quindici anni dalla sua morte, prendiamo a spunto la partecipazione di questo titolo a Cannes nel ’94, per ricordare Krzysztof Kieslowski, l’imprescindibilità della sua filmografia, lo spessore del suo messaggio, sempre aperto all’interpretazione e all’intelligenza. E, perché no, per parlare dei festival di cinema, specchio delle derive della nostra epoca.

Valentine è una giovane modella che vive a Ginevra. Ruotano attorno a lei un fidanzato geloso e morboso, un fratello in difficoltà e un ex giudice in pensione, incontro casuale (o destino?) che la mette di fronte al cinismo, al disincanto e alla menzogna che spesso guidano le azioni dell’uomo.

“Fraternitè” è il comandamento laico di una democrazia che si fa promotrice dei più alti valori umani, che si oppone al dispotismo dei pochi per diventare religione civile del popolo. Ma prima che ideali astratti libertà, uguaglianza e fraternità sono una questione privata, dell’uomo di fronte al mondo e alla sua coscienza. I colpi inferti dall’esterno, le costrizioni, l’ impotenza però sembrano  negare la possibilità di autodeterminazione e determinazione del reale: Valentine lotta contro questo tarlo della volontà che lascia invece il giudice inerte davanti a una centralina. Il telefono è membrana che separa dalla vita e dall’azione, separa Valentine da Londra e da un amore vissuto, separa il magistrato da sofferenze e frustrazioni, dal ricordo di una passione mai spenta, dall’irrisolvibile legame tra colpevolezza e innocenza.

“Film rosso”, interpretato straordinariamente dai due protagonisti Irene Jacob e Jean-Louis Trintignant, come i precedenti “Film blu” e “Film bianco”, procede per antinomie e si chiude con un finale enigmatico in cui è forte la sensazione di un destino indecifrabile ma anche il senso di speranza.  La preziosa eredità di Kieslowski è questa: l’incessante interrogarsi sulla vita, sull’uomo, sulle sue debolezze, le sue miserie, le sue fallaci certezze ma anche la sua struggente umanità che sopravvive anche alle brutture di cui l’uomo stesso è artefice. “Film Rosso” fu il suo ultimo film.

Inizialmente escluso, nel 1995, dalla corsa per l’Oscar, fu poi ammesso in concorso, grazie alle critiche sollevate da diverse personalità del mondo del cinema. Il premio per il miglior film andò infine a “Forrest Gump”, agrodolce ritratto del sogno americano in salsa freaks.

A Cannes “Film Rosso” ottenne la sola candidatura alla Palma d’Oro, nel 1994.  Anche in quel caso, il premio andò al gran mattatore Quentin Tarantino per “Pulp Fiction”. La ricerca metafisica del senso e della giustizia, la narrazione come espressione di un tensione morale sentita e vissuta, lasciavano il passo al compiaciuto pastiche postmoderno. I frutti, a livello di immaginario collettivo e plasmazione delle coscienze, li scopriamo e li scopriremo col tempo.

Scritto da Barbara Nazzari.

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