Di fronte all’incredula psichiatra della polizia (Sandra Oh – Grey’s Anatomy, Sideways), il ritardato Arthur Poppington (Woody Harrelson – Oltre le regole, Benvenuti a Zombieland) racconta i motivi che l’hanno portato all’arresto: di giorno ausiliario del traffico, di notte vigilante mascherato col nome di battaglia di Defendor, salva una giovane prostituta drogata, Katrina (Kat Dennings – Il mistero della pietra magica) dalle grinfie dello sbirro corrotto Dooney (Elias Koteas – La sottile linea rossa, Shutter Island), che lui sospetta essere in combutta con la sua nemesi di sempre, il fantomatico Capitan Industria. Nella mente di Arthur nasce così un’ossessione di giustizia e redenzione nei confronti di Katrina, che lo porta ad ingaggiare una disastrosa guerra personale con la spietata organizzazione criminale di Radovan Kristic (Alan C. Peterson – I nuovi gangster), nonostante gli sforzi del fraterno amico Paul (Michael Kelly – Changeling) di tenerlo lontano dai guai.

Esordio alla regia dell’attore canadese Peter Stebbings, che l’ha girato in patria con un budget assai ristretto, Defendor non è tanto una parodia dei film sugli eroi mascherati tanto in voga a Hollywood nell’ultimo decennio, quanto piuttosto un omaggio ai fumetti da cui quel genere ha tratto origine, dei quali riproduce i cliché narrativi e caratteriali ma, soprattutto, l’ingenuità di fondo, senza per questo risultare un’opera banale.

Come in ogni film di eroi mascherati (attenzione: non supereroi, dato che siamo in presenza di un self-made-man dei vigilantes, senza alcun superpotere, una specie di Batman più che di Spider-Man), il protagonista ha un passato tragico che lo ossessiona (la morte della madre, una prostituta, per overdose), un mentore (in questo caso, il nonno), una bella da salvare, personificazione dei suoi ideali (anche lei una prostituta come la madre, a sottintendere un lieve risvolto edipico, comprensibile in un personaggio mai evolutosi dall’infanzia), un amico saggio e umile che rappresenta un po’ la sua coscienza, come Sancho Panza per Don Chisciotte (o Kato per The Green Hornet, per citare il ben più superficiale film di Gondry), un nemico da strada con cui si scontra spesso (il poliziotto corrotto), e un arcinemico irraggiungibile, che incarna tutto il male e ha un nome roboante quanto improbabile (Capitan Industria, nato da un equivoco durante un dialogo fra Arthur bambino e il nonno).

Pur rispettando lo schema classico ogni volta proposto, con eventuali cambiamenti, sulle pagine disegnate e nelle relative trasposizioni in pellicola, con l’individuo insignificante che, in seguito ad un’esperienza che l’ha segnato, assume un’identità segreta sotto la quale combatte il crimine, questo film arriva a trarne un significato più profondo, al di là delle implicazioni grottesche (più che comiche) che la vicenda propone: indossando il costume di Defendor (particolarmente ridicolo, con una mascherina da ladro disegnata sugli occhi, un elmetto da soldato in testa e una calzamaglia nera con una gigantesca D sul petto), e impugnandone le armi (una mazza da trincea usata dal nonno durante la guerra, ma anche barattoli pieni di vespe o di biglie da scagliare contro i nemici), Arthur non diventa effettivamente più forte, e il più delle volte subisce umiliazioni, tuttavia si è convinto a tal punto di essere un vero giustiziere che, ogni volta che cade, si rialza e riprende a combattere, più determinato di prima.

Il messaggio del film è infatti un’esortazione a credere nei sogni fino a renderli reali, e a farlo senza bisogno di nascondersi dietro a maschere (non solo concrete, ma anche astratte, come si deduce da un dialogo fra Arthur e Katrina a proposito dell’uso di droghe come filtro per vivere la realtà), ma essendo semplicemente sé stessi, fino in fondo. E non è un caso se il protagonista, almeno dal punto di vista caratteriale, sembra una via di mezzo tra Forrest Gump e il Rorschach di Watchmen: secondo la visione del regista, solo una mente semplice e non del tutto razionale permette di superare i limiti imposti dalla realtà alla propria realizzazione personale, vivendo anche solo per poco come in un sogno, esattamente come accade al lettore di fumetti che, immedesimandosi nei suoi beniamini, per un momento ritorna bambino e condivide le loro imprese fantastiche.

Se la regia – forte di un’ambientazione urbana quasi sempre notturna classica per il genere, e di trovate piuttosto riuscite, come quella delle vespe (che sostituiscono i pipistrelli di Batman) – rende alla causa un buon servizio, e la sceneggiatura segue le vicende dei personaggi in maniera abbastanza chiara e senza sbavature, l’apporto del cast è determinante: Woody Harrelson, autore di una grande prova, in cui alterna con naturalezza il registro grottesco a quello introspettivo, si conferma uno degli attori più poliedrici del cinema contemporaneo, e questo buffo e tenero eroe merita un posticino a fianco dello straordinario Tallahassee di Benvenuti a Zombieland, di cui rappresenta una versione più timida e meno cinica, ma altrettanto determinata nell’andare fino in fondo. Non male anche gli altri interpreti, con una particolare menzione per Elias Koteas, altra garanzia in ruoli da cattivo, e per il corpulento e misconosciuto Alan C. Peterson, che aveva già dato prova del suo talento in un film drammatico di qualche anno prima, I nuovi gangster.

Con queste premesse, risulta irritante che un film interessante, per quanto fuori dalla logica, come Defendor sia stato escluso dalla distribuzione nei cinema italiani, e sia uscito in sordina direttamente in DVD, ma non c’è più nulla da meravigliarsi: se non è abbastanza impegnato (e pesante) da passare nei circuiti d’essai, un film così singolare e apparentemente privo di attrattiva, se non fra i nerd più accaniti, è destinato a finire Scaricato.

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