Sofia Coppola, dopo “il giardino delle vergini suicide” e “Lost in translation” presenta nel 2006 un ritratto del tutto inedito di Maria Antonietta. La regista, leone d’oro per “Somewhere”, non delinea il tradizionale profilo di una regina pronta a sposare il futuro re di Francia, l’ingegno della Coppola è stato quello di oltrepassare il taglio documentale del classico film storico verso il quale era disinteressata, calando invece la sovrana – bambina nella contemporaneità, rappresentandola come una teenager – icona del pop, amante delle feste e della musica. È già perché la popular art si manifesta continuamente nel film esaurendo a pieno i propri aspetti.

I valori fondamentali dell’ arte popolare, sono l’esaltazione di idoli rappresentativi all’interno di uno schema che si può’ riassumere nei concetti di bellezza-potere e moda, tre aspetti che in Maria Antonietta abbondano.

Attraverso la “moda” gli attori portano acconciature estrose dal verticalismo tipico dell’abbigliamento settecentesco (Oscar migliori costumi a Milena Canonero), si atteggiano in modo eccentrico come eroine. Indossano vesti dai colori accesi e contrapposti che richiamano le composizioni immortalate sulle tele della pop art.

Andy Warhol e i suoi successori, accostavano le tonalità calde a quelle fredde, così la stessa logica cromatica la ritroviamo nel ritratto della sovrana. Chiaro e omogeneo l’incarnato della protagonista è in netto contrasto con i colori ghiaccio delle vesti, a sua volta in contrapposizione con i merletti rosei e il trucco dai toni caldi, reso con quella leggerezza applicata ai ritratti di Alexandre Kucharsky, pittore di corte alla reggia di Versailles, si rende così con tali accostamenti, un insieme di immagini per il film tutt’altro che stridenti ma armoniche.

L’altro elemento fondamentale dell’arte pop è il “consumismo” Maria in una scena si fa calzare le scarpe (sono presenti anche un paio di Converse) all’ultima moda dalla cameriera, mentre si distende sulla poltrona circondata da deliziose torte, le cui forme richiamano le architetture di Claes Oldenburg e sono caratterizzate da una “ripetitività” decorativa. La ripetizione di oggetti e accessori è un altro principio che riecheggia continuamente nella pellicola della Coppola in un’analogia più che perfetta con le tele dell’arte popolare.

Lo scenografo K.K. Barett non può non conoscere bene Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein perché questa pellicola è l’esito cinematografico di un riepilogo di quelli che sono gli effetti della pop art americana. Il film della Coppola riesce a dare un’opportunità al pubblico nel comprendere maggiormente questa corrente consumistica degli anni ’60, rendendosi uno strumento pratico per la spiegazione di questo movimento artistico.

Scritto da Melissa Chiarizia.

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