Gennaio volge al termine e il dibattito sui  migliori album del 2010 va affievolendosi, dopo giorni di tempestose diatribe. Ancora rimbombano nelle orecchie i peana, o le compiaciute critiche fuori dal coro, sul “duo di Baltimora”,  sul “gruppo di Atlanta”,  sulla “formazione di Montreal”. C’è chi si azzarda, persino, a bocciare quest’ultima – che Dio ne abbia pietà – . Votata alla parzialità,  all’inspiegabilità e al caso, ecco una rassegna degli album dello scorso anno, uno per ogni mese, uno per ogni mood.

Gennaio – Jonsi “Go – mood: “Ha da passa’ l’inverno”. Anche fra i ghiacci, le ceneri vulcaniche, le solitudini nordiche si può zufolare allegramente a ritmo pop. Fino a quando un belato ti riporta alla realtà. Oscilliamo con Jon tra la trionfale leziosità di Boy Lilikoi e la rassegnazione solenne di Hengilas.

Febbraio – Liars  “Sisterworld – mood: “Non sono certa che questo inverno passerà, in ogni caso sarà peggio”. Fissate gli elementi più terrificanti del vostro immaginario horror: Leatherface che vi insegue grugnendo, un marmocchio da covata malefica cronemberghiana che spunta da sotto il letto, una cantilena alla Profondo rosso, la recitazione sbiascicona-coatta di Asia Argento. Il sulfureo Sisterworld ha i numeri per batterli tutti.

Marzo – Titus Andronicus “The monitor” – mood: “Se c’è un ordine in questo mondo non mi riguarda”. Anacronistico nella forma e nei contenuti (e non per l’apparente concept secessionista), eccessivo, ridondante, quasi parodico, assurdo, un melting pot di sonorità. Insomma, perfetto.

Aprile – Deerhunter “Halcyon Digest – mood: “Aprile è il mese più crudele eppure l’ho gradito”. D’accordo con Durkheim avverto maggiore propensione suicida in questo mese, fatto di tensioni e contrasti. Bradford Cox ne fissa con precisione chirurgica le fasi: sospensione (Earthquake), riflessioni sulle prospettive escatologiche (Revival), stralci di passato (Memory boy) e amari confronti col presente (Desire Lines), fantasie capricciose (l’anemica Basement scene), un lento abbandono (Helicopter), una confusa ma energica ripresa (l’eccezionale Coronado), un vibrante disincanto (We would have laughed). Il tutto con una varietà di registri musicali spiazzante.

N.B. Aprile, nell’economia dell’articolo, occupa maggiore spazio perché Halcyon Digest è senza dubbio (mio) il migliore album dell’anno.

Maggio – Arcade Fire “The suburbs” – mood: “Ehi ragazzi, vi ricordate l’infanzia? Bene, scordatevela”. Bildungsalbum metropolitano, ritratto dell’artista Win Butler da giovane, quando ancora senza il carisma dato dalla bretella e dalla ciuffa, cercava un suo preciso scopo (riferimento carico di sottintesi per i fans di Carl Reiner) nei sobborghi di Houston. Ottimo album, compatto nella forma nonostante la lunghezza e alcune tracks atipiche.

Giugno – Dr. Dog “Shame, shame” – mood: “Se mi concentro posso far finta che gli anni ’80 non siano mai arrivati”. C’è un citazionismo bolso e fiacco (vd. Local Natives) e un citazionismo fresco, frizzante ed onesto. Quello dei Dr. Dog. Che confezionano un album gradevolissimo, dichiaratamente Sixties ma che merita tutta la nostra indulgenza.

Luglio – Vampire weekend “Contra” – mood: “Fortunato chi è esente dai travagli dell’intelligenza”. Due anni sono passati dal disco di esordio e i problemi di Ezra Koenig non sono cambiati: problemi linguistici nell’adescamento, dubbi sul sottile (almeno a Cape Cod) confine tra fichetto e alternativo etc. Ezra non è certo un grande pensatore contemporaneo ma l’electro-afro-pop minimal di questo Contra conquista col suo essere disarmante

Agosto – Beach house “Teen dream” – mood: “Dopo dieci ore di sole sento pace ed una fitta alla tempia”. Languido e sognante, una splendida tessitura di chitarre e tastiera, lo senti e dici “questo è l’album dell’anno”. Al decimo ascolto si comincia ad avvertire un certo torpore. Meglio farne un uso moderato.

Settembre – The Walkmen “Lisbon” – monomood stagionale: “Buon proposito: arrivare a fine anno senza Prozac”. Per i mesi autunnali quattro gruppi che cominciano per “The”, perché, si sa, l’autunno è una stagione determinativa. Ai The Walkmen il compito di esprimere la solarità, già macchiata di saudade, settembrina.

Ottobre – The Besnard Lakes “..are the roaring nights”. Un mese come ottobre si può superare, volendo tener fede al proposito sopra citato, solo mantenendosi in uno stato di semi-incoscienza. Le melodie oppiacee dei The Besnard Lakes sono un’alternativa al narcotraffico efficiente e legale.

Novembre – The Phantom band “The wants”. Il peggio è passato. E’ tempo di esporsi, osare, essere disinvolti, persino smargiassi. Vi sia di spunto quest’album dei The Phantom band che prendono il folk-rock lo masticano e lo risputano filante di bave psichedeliche ed elettroniche. Geniali.

Dicembre – The National “High violet”. Non un album eclatante ma comunque un lavoro ricco, corposo, caldo, corroborante per le feste, come un vov. Siamo arrivati alla fine. Capisco che si possa cogliere una sottile vena di pessimismo serpeggiante, per questo voglio lasciarvi con un messaggio di speranza che proprio i The National ci donano: “Sorrow found me when I was young,/ Sorrow waited, sorrow won./ Sorrow that put me on the pills,/ It’s in my honey it’s in my milk”. Ok, lasciamo stare.

Scritto da Barbara Nazzari.

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